Le motivazioni della Giuria nella designazione del racconto vincitore la XIX edizione, durante la cerimonia di consegna del Premio Energheia 2013
_Le motivazioni dei giurati XIX edizione del Premio Energheia 2013.
Gianluigi Trevisi, componente della Giuria_Nella storia indicata vincitrice da noi giurati – Ciao, sono Sally di Rosa Scarlatella, ci troviamo in un luogo non ben definito, dove si affacciano dei personaggi che si raccontano. La decisione unanime della giuria è, anzitutto per l’invenzione, una cosa diversa rispetto agli altri racconti e che caratterizza questo elaborato. L’elemento forte è che questo racconto a differenza di quello che accade molto spesso, nella nostra letteratura, sembra sottrarsi all’imperio della cronaca, dei fatti che accadono nel quotidiano, vola per i fatti suoi. Quasi come accade nella letteratura americana o nella musica sudamericana, che spesso, affrontano i generi letterari. In questo racconto c’è una forte riflessione sul modo di scrivere, sul modello letterario. C’è un personaggio che si racconta e inventa biografie, e lei stessa racconta delle storie senza fine. Vi sono delle riflessioni sull’espediente narrativo. E questa è significativa di come una storia possa essere costruita anche riflettendo sul genere che ci appartiene. L’invenzione come un fatto innovativo e con una capacità di strutturarsi come esperimento.
Durante la riunione abbiamo parlato di come l’arte ci debba sospingere a nuovi esperimenti, verso nuove ipotesi, modelli nuovi, fuori dal consolidato. Agli inizi del novecento molti intravidero nel cubismo , nel volto umano, così raffigurato, qualcosa che si poteva immaginare. Una formula non solo metaforica, ma anche qualcosa di possibile nel mondo materiale. Credo che l’arte, la letteratura la musica debbano essere uno stimolo per immaginare un pensiero diverso, non più un pensiero unico.
Rosa Scarlatella, autrice del racconto_Il racconto è qualcosa di incompiuto. Ogni personaggio ha qualcosa che gli manca e anche il racconto nella sua dinamica ha qualcosa che non c’è. Ma in un certo senso era necessario trovare la pienezza in questa mancanza.
Davide Rondoni, Presidente della Giuria_Mi collego a quello che ha detto Rosa. Poetare e raccontare sono due elementi ontologici, non sono la letteratura, ma lo diventano. Perché raccontare è un’esigenza che l’uomo ha sempre avuto. E perché questa esigenza, questa voglia di scrivere, raccontarsi? Semplicemente per quello che diceva Rosa adesso, la vita da sola non basta, c’è questa esigenza di raccontarla, noi, se ci pensiamo, siamo i racconti che lasciamo. Ognuno di noi lascerà un racconto di quello che siamo. Quando io penso alle persone più care della mia vita penso ai racconti. La loro personalità mi viene raccontata con parole. Cerco dei gesti, delle sfumature, dei consigli, ma soprattutto dei racconti che mi hanno lasciato. Questa esigenza del raccontare è proprio perché una vita non basta. L’uomo ha cercato di raccontare, per cercare qualche cosa che sembra mancare. Un pò di anni fa i sociologi, dicevano che la nostra epoca sarebbe stata quella delle immagini. In parte è vero, ma la nostra epoca è dominata dalle parole. Non si è mai letto e scritto come in questo momento. I giovani sono pieni di parole scambiate. Anche di immagini, ma di moltissime parole. Perché con la parola, questo strumento fragilissimo e meraviglioso che abbiamo si può raccontare e poetare la vita. Si può cercarne il permanere e il completamento. Per questo è sempre bello accostarsi a questa dimensione dell’esistenza che cerca se stessa raccontandosi, che cerca se stessa mettendosi in versi. Perché questa esigenza non è esibizione. Chiunque non si racconta per esibirsi o esibire qualcosa che ha dentro e che gli altri non hanno, sarebbe supponente e stupido. Ma ognuno racconta perché cerca il vero in quello che sta vivendo, cerca quello che manca immediatamente, quello che non è al momento disponibile. In altri termini quel qualcosa di vero per cui occorre scavare nel proprio animo. Per questo il raccontare non viene mai meno. Se ci pensate noi, delle civiltà che ci hanno preceduto abbiamo dei reperti che ci raccontano la vita delle persone, altrimenti sarebbero muti. Per questo un premio letterario, al di là della vittoria, ha questo grande valore, quello di mettersi in contatto con questi due elementi fondamentali della nostra natura. Il raccontare e il poetare. Perché se smettiamo di fare questo, significa che siamo morti. Mi ha stupito, in particolare nei racconti che sono arrivati in finale di riscontrare alcune caratteristiche in comune a moltissimi racconti, ovvero la malattia. A volte nelle sue forme più gravi. Quasi che nella nostra epoca sia necessario raccontare la ferita, la malattia, perché si sta cercando la verità di queste esperienze, non immediatamente disponibile. Credo che per questo motivo ci sia nei racconti il tema della malattia, la sua rappresentazione. Concludo dicendo che abbiamo premiato due racconti, che ci hanno convinto per il livello e la qualità della forma, in sintesi del loro valore artistico. Non che nelle altre opere non ci fossero elementi interessantissimi e anche di possibili sviluppi. Chiederei che i non premiati prendessero il non premio come un invito ad approfondire ancor di più la scrittura, perché sono racconti su cui val la pena di lavorare. Sono tutti racconti su cui occorre ancora lavorarci. Alla vincitrice, invece, faccio un invito, di continuare perché adesso viene il bello, e a tutti quelli che hanno partecipato di riprendere sul serio, loro stessi, questa esigenza di narrare, di prendere l’arte sul serio e non in modo sporadico.
Io chiederei il prossimo anno di promuovere un racconto su Felice, che io non conoscevo fino all’altro giorno. Non so se avete notato, lui fa tutto. Fa le foto, si affaccia dietro, appare da dietro l’albero. Sembrava quei personaggi dei fumetti che appaiono dappertutto. E’ un ottimo personaggio per i racconti.