Le vie dell’amicizia
Amani – 10 giugno 2011 di Patrizia Soffientini_
9 luglio 2011, Uhuru Park: il maestro Riccardo Muti dirige giovani talenti in un concerto gratuito per gli abitanti delle baraccopoli. Un evento unico che si annuncia memorabile.
Racconta tu, conosci la storia. Così mi viene chiesto di fare, ma della storia conosco appena un frammento, il riflesso cangiante su un mare di cui mi sfugge la profondità. La narrazione del nostro grande concerto africano diretto dal maestro Riccardo Muti è in piena evoluzione, le onde sono alte. Ne siamo orgogliosi e a volte spaventati. Oggi che l’Africa non è mai stata così vicina, ne sentiamo la portata simbolica, la misteriosa attualità. Su questo spartito attraversiamo, un po’ incoscienti, la linea di fuoco delle contraddizioni fra nord e sud del mondo.
Nemmeno il 9 luglio all’Uhuru Park, anima verde di Nairobi, sarà scritta la parola fine. Quel giorno, semplicemente, si alzerà la bacchetta del maestro Muti, il primo grande interprete occidentale a misurarsi nell’Africa subsahariana, l’orchestra giovanile Cherubini inizierà a suonare, i cori di Padova e di Piacenza intoneranno le arie più amate del melodramma italiano, da Verdi a Bellini. Il Và Pensiero, caposaldo del 150° dell’Unità d’Italia, sarà una fusione di voci, con cento scolari africani a colorare di sfumature inedite l’inno risorgimentale. Nel canto c’è la temperatura emotiva di tanti giovani esiliati. Chiedono libertà, riforme, equità sociale, senza i lacci che strangolano le aspirazioni, i desideri. C’è un’attesa spirituale e materiale di patria. In Kenya le divisioni etniche e la corruzione governano impropriamente la vita pubblica, le intelligenze fresche sono depresse, donne, bambini e anziani patiscono una doppia vulnerabilità. Quel pomeriggio all’Uhuru Park i ragazzi delle case di Padre Kizito immetteranno una resistenza creativa nelle note ottocentesche. Con le loro acrobazie, la loro vivacità, apriranno il concerto gratuito e popolare, una festa in musica, che diventa urgenza di rigenerazione e di alleanze. La fine della storia è lontana. Anche dopo l’ultimo applauso. Possiamo, però, immaginarla con l’intelligenza del cuore. “E’ il viaggio dell’amicizia più importante, il più difficile – ha detto Riccardo Muti nel presentare il concerto -. Una goccia in un oceano, fra problemi planetari. Il mondo è sordo, ma questo è il continente con cui i nostri figli devono fare i conti. Chiudere gli occhi ci rende complici”.
Intanto si lavora alla poderosa macchina artistica (trecento orchestrali e coristi, giornalisti, la Rai) da trasferire a Nairobi. L’organizzazione guidata da Antonio De Rosa, sovrintendente del Ravenna Festival, è all’apice dello sforzo. Si è voluto un segno etico forte in questo concerto delle “Vie dell’Amicizia”, nate quindici anni fa per favorire contaminazioni culturali e storiche. L’Africa subsahariana, la meta sostenuta con passione da Cristina Muti Mazzavillani dopo una chiamata piacentina, esige uno sguardo essenziale. E già l’accoglienza del piccolo battaglione italiano a Nairobi avrà un profilo spartano: tutti, inclusi il maestro, alloggeranno in missioni. Nessun centesimo sarà speso inutilmente. In questo solco muove i primi passi il comitato promotore piacentino-ravennate che si occupa del versante umanitario, ne fanno parte i sindaci delle due città, Roberto Reggi che lo presiede e Fabrizio Matteucci, la stessa Cristina Muti. La finalità è di raccogliere fondi pubblici e privati per assegnare numerose borse di studio ai giovani più meritevoli della baraccopoli, per sostenere un dispensario in terra maasai guidato dal medico Francesca Lipeti, coraggiosa custode di una comunità poverissima. Istruzione e salute. In una stagione in cui la cooperazione internazionale è colpevolmente silenziosa, lo slancio emiliano – romagnolo ha i sapore di un risarcimento. Comunque vada, questa vicenda resterà una pietra miliare per le associazioni Amani e Amici di Lengesim. Perché la nostra favola senza un fine, un inizio ce l’ha. La genesi è nei viaggi di tanti volontari, educatori, studenti, spinti dal desiderio di conoscere le condizioni di vita dei popoli africani in ambito rurale o urbano, le loro diverse e ugualmente stridenti disparità, la povertà primaria, l’assenza di prospettive, le ingannevoli sirene di un certo modello occidentale ma soprattutto l’immensa ricchezza umana, sapienziale e culturale di questo continente che esprime le nostre origine. Si lavora con gli africani, senza paternalismi cripto-coloniali, in un reciproco riconoscimento. Speriamo di riunire sulla collinetta dell’Uhururu Park la gente di Libera e la borghesia progressista, etnie diverse a volte nemiche, strati sociali che evitano di toccarsi, ma possono incontrarsi in una platea dove la dignità è la stessa per tutti. Non ci nascondiamo i rischi, il pericolo di fraintendimenti, di restare una voce nel deserto. Andiamo avanti tuttavia, perché da questo gesto musicale che onora un popolo e l’azione di tanti missionari nascano mille altre storie.