I brevissimi 2024 – L’inverno delle parole, Sofia Bottari_Carrara(MS)
Anno 2024 (Le stagioni: Inverno) – finalista
Guardava in alto, a quel sole troppo lontano per sorriderle ma abbastanza vicino per rassicurarla con il calore dei suoi fuochi estivi; guardava in basso al campo di Rose rosse, troppo vicine perché potessero evitare di udire le folate della sua voce, ma abbastanza lontane perché non percepissero l’inverno che stava incombendo in quella parte di campo in cui solo la Rosa grigia giaceva circondata da erbacce torride; uno spazio ostile, solitario nell’animo e affollato di sguardi giudicanti e disinteressati che si ricopriva di neve nel momento in cui il fiorellino si stanziava sul germoglio dannato, le fiamme del sole non riuscivano a penetrare il solido delle nubi sghignazzanti che rimboccavano i cieli caldi; il paradiso veniva sostituito da una minuta serra serrata e soffocante, il coraggio si arrendeva al ghiaccio, i petali volavano nel vento urlante in una tempesta di parole non dette, lasciando alla profumata le raggrinzite spine per ricordarle che lei era solo questo, un contenuto di pensieri troppo caldi per sovrastare il gelo delle parole, quelle dette ad alta voce, che quando si pronunciano non si possono più scaldare. Rimangono lì, a raffreddarsi nel deserto delle memorie, sole e letali, capaci di condannare la piccola spinata nell’oblio del limbo in una danza tra l’alienazione e gli sguardi sanguinanti, come giudici alla sua condanna c’erano le Rose rosse, attente agli sbagli e infelici dei successi. Succedeva spesso alla Rosa grigia di rimanere intrappolata in una tempesta d’inverno che si appropriava dei petali formati dopo tanto tempo di fioritura trasmettendole un senso di rabbia incolpante verso se stessa, la sua mancanza di coraggio e verso l’inverno ignobile e malvagio, soffocante e deludente; eppure era sempre in quel giardino, ogni volta con l’intenzione di sotterrare e sciogliere le acque edificate, di far scoccare i nuovi e limpidi petali tra loro, di trasportare attraverso il mare del cielo tutte quelle lettere che a aveva covato così a lungo, che aveva scelto così speranzosamente mentre cercava l’appoggio del sole il cui viso non avrebbe mai visto. Era la speranza a riportarla ogni volta lì, nel verde marcio d’inverno, ed era la paura a spegnere le fiamme del camino nel suo cuore, dando l’accesso alla neve nella sua piccola casa ormai senza tempo.
Con un primo sospiro tutto era svanito, l’inverno si era ritirato in un angolino della sua mente, stanco e irritato, il sole tornava ad accecare la Rosa grigia con i suoi inferni felici, in un abbraccio consolatorio e rassicurante; gli sguardi delle Rosse si erano mutati, un velo aveva avvolto gli occhi aggressivi delle maligne in una punizione silenziosa. Un secondo sospiro fece rivivere le spine della Rosa, ora caratterizzate da un colore così verde da fare invidia alle foglie che qualche volta svolazzavano nel mare del cielo. Al terzo sospiro fece sbocciare nuovi petali, più luminosi che mai, che si libravano sopra le teste del campo in suoni assai intonati.
Aprì gli occhi, ce l’aveva fatta, aveva infiammato l’inverno, lo aveva dissipato di ogni malvagità che conteneva, aveva riportato il sole su di sé, il gelo l’aveva lasciata e i petali risuonavano melodiosi come non mai. Aveva vinto, ma l’inverno sarebbe rimasto costantemente nei ricordi del suo cuore come una ferita in un’ estate gioiosa.