I brevissimi 2015 – L’ira di Penelope di Liliana Gatto, Genova
_Anno 2015 (I sette peccati capitali – L’Ira)
“Sale, sale, ancora sale. Troppo sale, questa volta ne ho messo troppo. Troppooo!
Giro, mescolo ma non ci credo più.
Ho sbagliato oggi come allora. Dito nel sugo, dito in bocca, dito passato sul grembiule. Dito pulito cotone imbrattato. Di rosso imbrattato. Rosso ragù, rosso vermiglio, rosso colore primario, additivo, niente sugo glutammato. Ma quanto ti ho amato. Pellegrino dal manto rosso, rossa la vela, rosso di sera e ora rosso sangue. Cartellino rosso, espulso, andato via, dalla mia vena, dalla mia tela.
Tela, malefica tela, avrei dovuto seguirti, urlarti, urtarti, scendere al porto e non lasciarti. Andare. Per mare. Miodddio che rabbia, che disdetta, che cosa malfatta, insipida, senza sale, e ora sto male, che ira. Ma poi alla fine in che senso si gira? Il sugo, la testa, il mondo, le cose, e poi che faccio? Ora. Qui. In piedi in ciabatte.
Piango nel sugo? Non ho più la chioma nera, non ho il vestito da sera, sono braccia, gambe attaccate a casaccio, sono vinavil, attack, scotch sotto shoch, sono io solo alla specchio. Ora lo spacco! Cosa vuoi che faccia? Se ora, adesso in questo momento è difficile persino spremere il tubetto del doppio concentrato e centrare il tegame.
Non ho voglia di fare. Io che non ti ho visto tornare. Trattengo il fiato, morte e ricatto. Apnea infantile. Apnea e boccaglio – ossigeno per non svenire – apnea sentimentale. Fiato sospeso morte timica e morte d’amore. Globulo rosso, scoppio, grido a più non posso. La rabbia, una gabbia, da me inventata. E la chiave? Gettata. Via! Nel sugo? Non credo. Ecco. Tutto bruciato. Tutto da capo, che rabbia che voglia di farla finita altrochè il mestolo di legno. Legno, lana, materiali naturali, dolore, livore, evento naturale per te andar lontano. Giro il sugo con le mani. Da anni pesco nel sugo: pesci rossi ammaestrati, pesci persici coi baffi, li vedo mi passano tra le mani, uh quante mani, le mie mani, mani e ancora mani. Mani con tante mani.
Per anni queste mani hanno girato il sugo, mattino, pranzo e cena, giorni bianco nucleare e notti blu d’oltremare. Sugo denso, globulo grasso, rosso al triplo concentrato. La tua passione. E ora alla minima distrazione, alla minima fiamma un poco vivace il sugo mi guarda, mi fissa e la fiamma si fa gialla, rossa, viola e tutto vira in disgrazia. Che rabbia “.
“E se tornasse? No, dico, ci ho pensato. Magari non oggi, ma se nonostante tutto e tutte tornasse per davvero? Mioddio non mi ci far pensare, odor di carota, sedano e cipolla. Globulo rosso indorato. Sono un soffritto immortale, immorale, a tutte le ore, incubo e torpore. Da quanto aspetto i suoi passi? I miei sono quelli di allora. Passi anemici in bianche ciabatte. Bianco macchiato, aloni di rabbia e rancore. Bianco sporco, geometrie di macchie che disegnano la mia rabbia: macchia bisestile, un giorno in più per inacidire. L’anima e il corpo.
Trecentosessantasei mestoli nel sugo. Sempre magistralmente girato, sugo denso, un sugo che mi assale. Il cuore fa male, aorta avvilita vena senza vita. Via tutto, grembiule compreso, altro che sugo da re; trovarlo un Re. Al giorno d’oggi poi! Tutti con un sacco di pretese. Ore vuote, vane attese a braccia tese. Ora allungo il sugo. Acqua. Quel goccio che basta.
Lo faccio così per fare, per continuare a fare una cosa che so fare, per restare a galla in questa vita piene di falle, nuoto nell’acqua e sono Sugo.
Mi sento sola, al centro del tegame e cosa mi sento dire? Di non esagerare, di pensare a nuotare. Io che sto così male in tutto questo sugo rosso, sugo mosso, sugo forza nove, in questo mare moto. Mare agitato, sugo bruciato. Sugo via dal fuoco! Maledetta ostinazione, profilo greco, sguardo bieco, perdita della ragione. Uomo di mare marito da dimenticare. E non mi fate dire che lui mi piace ancora da morire. Globulo bianco e terraferma. Ciabatte e tegame, solo una vela come inutile legame”.