I brevissimi 2013 – Lo spettacolo di Anna Genova_Napoli
Anno 2013 (I sette peccati capitali – l’invidia)
Sonia guardò l’orologio in alto alla parete, erano quasi le otto e finalmente un’altra giornata rinchiusa nella sua merceria piena di bottoni e merletti, volgeva al termine. Erano passati ormai vent’anni, giorno dopo giorno; era nata la sua prima figlia poi l’altra, si era separata dall’inutile e ubriacone marito ed era ancora lì a contare bottoni, a tagliare fodere e stoffe, aspettando solo la sera per tirare giù la vecchia e rumorosa saracinesca e tornarsene a casa dalle figlie, cresciute da sole a due isolati dopo, al primo piano di un monolocale.
Aveva un aspetto appesantito dalla sua mezza età, come dai suoi ottanta chili. Indossava spesso maglioni larghi e lunghi fin sopra i pantaloni che fasciavano le grosse cosce, i capelli scoloriti da vecchie tinture e portati indietro da una pinza, facevano da cornice, insieme ad un generoso doppio mento, ad un viso disegnato a tratti da una vistosa peluria. Le folte sopracciglia lasciavano appena intravedere due occhi verdi, spenti quanto malinconici.
Era stanca, di tutto. Aprì la cassa, fece per contare i pochi soldi, quando la presenza di una donna le si pose davanti chiedendo due bottoni gioiello per l’abito che si accingeva a mostrarle.
«Lei è la mia ultima speranza, mi aiuti» le supplicò «stasera ho la prima dello spettacolo e i bottoni che mi ha procurato la costumista sono davvero orribili, inadatti, capisce? Mi dica come può la “contessa Quattromani” indossare un prezioso abito dell’ottocento con due bottoni di plastica sul corpetto, per giunta bianchi, bianchi su un velluto blu, pazzesco, davvero pazzesco! Come posso chiuderlo sto corpetto sennò, mi dica, mi hanno detto che è ben fornita. »
Intanto apriva il portabiti di stoffa e quando la lunga lampo fu completamente scivolata giù, lo stupore di Sonia si fece così intenso da fare esplodere sulle gote un rossore imbarazzante di fronte al quale la donna non poté che esserne lusingata.
«Bello vero? » commentò soddisfatta.
«Altroché se è bello! Bello è anche poco» rispose Sonia sollevando con forza le sopracciglia.
Quell’abito la riportava ad un’epoca in cui avrebbe voluto nascere solo per indossarlo almeno una volta. Cose così l’avevano fatta sempre sognare guardando le sue fiction preferite, ma non aveva mai visto niente del genere così da vicino. Dopo averlo fissato a lungo, Sonia spostò il suo sguardo curioso sulla donna, sulla pelle del suo viso curato, sul trucco perfettamente in tono con il verde degli occhi, sui capelli tinti d’oro e raccolti in un luccicante fermaglio, sulle unghie rosso porpora che spuntavano dalle maniche del lungo cappotto di astrakan a coprire con garbo le robuste spalle e persino sul particolare doppio mento che si muoveva traballante insieme al suo spigliato chiacchierare.
Tutto di lei sembrava lontano: la sua vita agiata, quasi mai annoiata. Eppure tutto così familiare da riuscire ad emozionarla per ogni particolare su cui si soffermava.
«Ha sentito parlare vero della famosa commedia “I quattro amanti della contessa Quattromani”?» Chiese l’eccentrica attrice col preciso sospetto di non essere stata riconosciuta.
«Come no! Chi non la conosce» rispose Sonia raccogliendo un sorriso rassicurato. Si diede poi subito da fare per accontentare la sua speciale cliente che non esitò, per la soddisfazione, a ripagarla con due biglietti per lo spettacolo di quella sera e ringraziandola ancora le lanciò un bacio e uscì di corsa.
Sonia inchiodata al pavimento ammirò i biglietti che stringeva tra le mani, certa di stringere qualcosa di più che due semplici pezzi di carta, qualcosa che la faceva sentire altrove. No, quella donna non l’aveva vista su un cartellone pubblicitario né in televisione o al cinema. Quella donna era impressa sullo specchio nel quale da troppo tempo non si guardava. E non era appena somigliante alla sua immagine, era identica. Sotto al trucco, al cappotto di astrakan, dietro la felicità e l’esaltazione, c’era proprio lei. Quella che con poco sforzo e molta fortuna sarebbe potuta diventare. Forse anche solo per una sera, dal buio di una sala.