Matera 2019, la capitale di tutti (secondo un materano)
_di Roberto Moliterni.
Pochi minuti fa mi sono alzato dal posto che da stamattina occupo nella biblioteca nazionale di Roma e sono andato a rispondere al telefono.
Era mia madre, che di solito non mi chiama mai fuori dagli orari stabiliti. Nonostante questo, sapevo perfettamente perché mi chiamava.
Invece di scrivere, come dovrei fare quando vengo qui, alle 16,45 mi sono collegato sul sito del Mibact e ho guardato una specie di conto alla rovescia che diceva che fra pochi minuti si sarebbe scoperta la capitale europea della cultura per il 2019.
Matera, la mia città, era una delle sei città candidate scelte da una commissione europea fra svariate città italiane.
Prima ho amato e poi ho odiato questa candidatura. L’ho amata perché ho pensato che fosse una opportunità unica per una città – una regione, la Basilicata: e lo dico che è la Basilicata perché spesso ancora capita che ci collochino fra il Molise e il nessundove – che è sempre stata ai margini della storia di questo paese e che questa marginalità potesse essere fonte di narrazione per l’intera Europa.
L’ho amata perché significava lavoro per una terra martoriata da industrie fallite, quella dei salottifici per esempio, e da investimenti scellerati e che adesso invece punta tutto sul turismo.
L’ho amata perché a Matera ci sono due cinema e mezzo, tre librerie e mezzo e mezzo teatro e ho pensato che questa storia della capitale europea della cultura avrebbe almeno colmato i mezzi.
L’ho amata, infine, perché ho visto tanti ragazzi della mia generazione tornare dagli studi all’estero per investire su questo territorio.
Ma poi l’ho odiata perché ho percepito uno stacco netto fra quello che stava accadendo e la città e la sua periferia, dove la candidatura risuonava come un’eco lontana e i suoi eventi fumosi ed effimeri.
Era come se questa candidatura riguardasse tutti solo per ragioni di tifo simili a quelle calcistiche, ma di fatto appartenesse solo a una èlite di cittadini.
Era come se Matera fosse diventata solo una scenografia in cui far accadere delle cose, come se qualcuno ci stesse chiedendo: «ei, spostati che devo fare una fotografia al paesaggio».
A Matera, il paesaggio, per chi non ci fosse stato, sono i Sassi e i Sassi sono un posto straordinario in cui far accadere le cose, perché godono di una magia unica, dovuta alla particolare architettura.
In alcuni momenti, ho incominciato a sentirmi straniero nella mia città, come se Matera non fosse più mia ormai, ma appartenesse ai turisti, appartenesse a questa élite di persone. E allora quel sogno che questa cosa diventasse un’opportunità non solo per Matera, ma per il Sud intero, per l’Italia e l’Europa intere è andata via via svanendo, è diventata amarezza.
Poco meno di un mese fa invece, a Matera c’era Materadio, che è Radio 3 che trasmette per 3 giorni da Matera e improvvisamente ho visto una città compatta partecipare agli eventi, ai concerti e alle presentazioni con un’energia e una curiosità che non avevo mai visto, nemmeno a Roma dove l’evento culturale è dato per scontato e vissuto con un certo distaccato cinismo.
In quel momento, lo so anche se non ce lo siamo detti, io e molti materani che eravamo lì abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto immaginare Matera e l’Europa nel 2019 proprio così. Un carnevale di stimoli e provocazioni, il cui cuore è la partecipazione. E poi di nuovo, da lontano, pochissimi giorni fa, ho vissuto la visita dei commissari europei in città e ho percepito di nuovo quella stessa partecipazione attraverso le parole e i racconti dei miei amici e parenti che erano a Matera.
Oggi in biblioteca mi sono commosso e se mia madre non mi avesse chiamato mi sarei alzato comunque per andare fuori a buttare via l’emozione di aver sentito il ministro chiamare il nome «Matera» come avrebbe potuto chiamare qualunque delle altre sei città e invece ha detto proprio «Matera». Matera è capitale europea della cultura per il 2019.
Nonostante tutto, nonostante i timori e le perplessità e i miei patemi da materano, Matera è una città che ha molto da raccontare all’Europa. Per molti motivi, primo fra tutti proprio per la sua particolare architettura, di straordinaria bellezza che tutto il mondo, negli ultimi vent’anni, ha incominciato ad amare; un’architettura dell’umiltà, fatta non da borghesi o ricchi signori, come nelle più famose città italiane, come Firenze o Venezia, ma dai contadini.
Matera cioè è il racconto di pietra non di una bellezza grande, ma di una bellezza umile, fatta di materiali poveri, funzionali alla sopravvivenza. Fino a sessant’anni fa i contadini vivevano in queste case scavate nella roccia in condizioni che oggi definiremmo disumane e che invece covavano atti di grande umanità, proprio perché la miseria li costringeva ad atti di grande solidarietà.
Matera può diventare, e spero che lo diventi non solo di nome, la capitale di tutti, dei dimenticati, degli ultimi, dei lenti, dei cafoni, di quelli che hanno voglia mangiare e bere e di quelli che hanno voglia di pensare e di creare.