MEDIOEVO EXIT di Gianluigi Trevisi
Giuria ventitreesima edizione Premio Energheia_2017
A VOLER ESSERE DISTOPICI FINO IN FONDO SI RISCHIA DI DISINTEGRARE L’ULTIMA SPERANZA CHE CI È RIMASTA DI UN FUTURO MIGLIORE.
Certo il quotidiano ormai mira apertamente ad uccidere l’utopia, dimenticando quel che invece è il vero motore della democrazia; inoltre la ciclicità delle crisi sembra farci galleggiare in un lunghissimo Medioevo e la sbornia tecnologica che parametra modernità e progresso non è poi tanto dissimile dalla invenzione dei mulini ad acqua fatta per l’appunto nell’epoca suindicata…
Chiarisco meglio il mio pensiero. Ho appena finito di leggere La svastica sul sole di quel genio paranoico di Philip Dick. In questo famosissimo testo si ipotizza alla fine della seconda guerra mondiale la vittoria dell’Asse, l’alleanza tra la Germania di Hitler, l’Italia di Mussolini e l’Impero del Sol Levante. Ciò che sorprende del testo è che (proprio come nella proprietà transitiva) cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. La lucida follia di Dick – sebbene questo libro lo abbia scritto in un periodo di caccia alle streghe -, in maniera molto sottile ci fa capire come le dinamiche del potere siano quelle, immutabili. Una grande bugia detta una volta e una menzogna detta mille volte diventa una grande verità(Goebbels). Siamo negli anni Cinquanta, poca TV ed internet solo per le comunicazioni militari(è vero, c’era già) Il controllo delle società si muove con l’addomesticamento del pensiero. Nell’analisi che Dick fa del nazismo appare evidente come il controllo militare sia sicuramente secondario rispetto all’affermazione dell’egemonia culturale su di un popolo. Non per caso Dick finì nella black list dell’FBI , tutti i suoi scritti andavano ben oltre la semplice classificazione fantascientifica, all’ombra della fantasia questo irrequieto comunardo è riuscito a sviscerare tanti temi centrali e le contraddizioni del nostro tempo. Pensate a Blade Runner ed a Minority Report, tratti da suoi racconti.
L’affermazione di questi principi addossati, al trionfante nazismo rivela il virus di quella società americana e di tutto quello che sempre più caratterizza la società contemporanea ben oltre il mondo occidentale. In effetti, a pensarci bene, la storia dal dopoguerra ad oggi è il perfezionamento di queste strategie che proprio nel secolo breve hanno trovato la loro migliore attuazione. Grandi vecchi e grandi fratelli a parte, l’indebolimento del pensiero continua ad essere il principale controllo del dissenso.
Non voglio incamminarmi lungo sentieri sociologici, ma tornando alle vicende del nostro cortile è evidente che è in corso una desertificazione del pensiero umano inteso come pensiero filosofico, ovvero come tasso di domanda di assoluto e connessione agostiniana al mistero che in ogni essere dovrebbe risiedere accanto ai bisogni primari.
Le tracce sulla scena del crimine? Infinite. Per esempio, se la lingua è la casa del pensiero, siamo messi veramente male perché il nostro lessico si è ridotto di percentuali altissime, (delle 1500 parole usate fino a qualche tempo fa ora siamo sulle7/800). Salendo sulle scale dei grandi sistemi ci appare evidente come il carattere conflittuale del nostro modello sociale ha consentito il trionfo del vivere alla giornata e, fondamentalmente, della merce. L’umanità in genere non riesce a tenere insieme spirito e carne, corpo e anima (per chi crede) le due cose vanno lungo strade diverse, sarà per mancanza di tempo, ma non riusciamo a sentirci parte del tutto. Basterebbe guardare come nonostante “l’inarrestabile progresso “(bau) assistiamo inermi alla sistematica e furiosa distruzione del pianeta. Infine, ed è cronaca, il risveglio razzista lungo tutte le latitudini del pianeta sembra configurare la definitiva perdita di quella biofilia che ha sempre spinto gli esseri l’uno verso l’altro. L’odio si è dimostrato particolarmente pervasivo per menti ormai troppo semplici per scoprire il trucco del prestigiatore. È bastato veramente poco. Si è scaraventata la cultura nell’intrattenimento (da un po’ si parla di impresa e di mercato), la coscienza e l’ideologia nel gabinetto, l’ignoranza è diventata un valore ed i nuovi Tersite hanno convinto anche noi che è così e non si può fare nulla per cambiare. Consapevoli o inconsapevoli, non importa, ma sono state queste le risposte (Goebbels canta ancora vittoria) al desiderio di coscienza e conoscenza che il ‘68 ha sparso sul pianeta, quello che nonostante le analisi degli arrembanti storici/tronisti, Sepulveda ha definito come l’ultimo vero spauracchio del capitalismo.
Oggi dopo cinquant’anni la maionese è impazzita e la luce in fondo al TUNNEL MEDIOEVO nemmeno si intravede. Auguri.