Meno normative, più invenzioni
_di Roberto Vacca
Non ho mai usato l’orrida espressione “lacci e lacciuoli”, ma mi viene in mente spesso leggendo i giornali e ascoltando la radio. Sono sempre di più quelli che vogliono migliorare le città, la nazione, il mondo solo a forza di leggi e regole. Le parole che ripetono più spesso sono: “norme”, “provvedimento”, “normativa”, “testo unico”, “regolamento di attuazione”, “procedura”, “conformità”, “protocollo di applicazione”, “statuto”, “commissione”, “allegato tecnico” e, per chi ama l’itang’liano o tratta con stranieri, anche “charter” e “memorandum of understanding”. Spesso i tecnici citano di continuo leggi riguardanti la loro attività (e le chiamano col numero e l’anno: “Ma vogliamo parlare un po’ della 3567/97?”)
Viene in mente la storia dei tre scienziati russi che nel 1975 parteciparono a Parigi a un congressone di un mese. Al primo weekend vanno dalla polizia e chiedono un permesso per andare a Versailles. Gli spiegano che non ce n’è bisogno: vadano pure. Al secondo weekend chiedono al commissariato un permesso per andare a Chartres. Il poliziotto, impaziente, spiega: non ci vuole permesso nemmeno per Chartres. Al terzo weekend vanno di nuovo alla polizia: “Vorremmo visitare Orleans.” – sorridono – “E’ un altro dipartimento: qui il permesso ci vuole, no?” Il poliziotto li tratta male: “No, non ci vuole. Prendete un’auto un treno – e andate. E ora: fuori!” Mentre escono uno dei tre dice:
“Vi rendete conto: la guerra è finita da trent’anni e questi francesi ancora non si sono riorganizzati!”
A più di mezzo secolo dalla guerra, gli italiani si sono riorganizzati troppo. Critichiamo gli anglosassoni che non hanno codici e fanno proliferare precedenti legali che hanno forza di legge. Intanto continuiamo a produrre regolamenti in modo che sembra vanificare i tentativi dell’On. Bassanini [CHI LI RICORDA?] per eliminare i certificati inutili, estendere le autocertificazioni, modernizzare con la telematica la nostra deplorevole burocrazia.
E’ giusto che sia vietato vendere prodotti dannosi, vandalizzare proprietà pubbliche e private, mettere a rischio vita e salute dei nostri dipendenti, concittadini, familiari. E’ giusto imporre che vengano manutenuti bene veicoli e fabbricati e che i rifiuti nocivi vengano neutralizzati e portati a discariche ben fatte. E’ giustissimo che si facciano i controlli fiscali (anche se converrebbe usare maggiori risorse per individuare i grandi evasori che non per tampinare i piccoli commercianti). E’ giusto che si cerchi di aumentare la sicurezza. Non è giusto lamentarsi di continuo perchè le cose vanno male, pretendendo nuove regole e ignorando i grandi miglioramenti che ci sono stati. Negli ultimi 40 anni il numero dei morti in incidenti stradali si è ridotto del 75%. Nel 1926 morirono 65.000 persone a causa di mali ignoti, non diagnosticati, ma il loro numero scende di continuo: 12.000 nel 1991 e 9.220 nel 2010. Non possiamo occuparci solo di cose come queste. Il mondo cambia a velocità mai vista prima. Usiamo macchine e servizi di cui pochi anni fa non avremmo immaginato la possibile esistenza. Ma giornali, radio e TV presentano le invenzioni nuove come curiosità o americanate (come si diceva un tempo).
Vorrei parlare con giornalisti che guardano, pensano e informano (e non parlano del cidièrre [comitato di redazione]). Vorrei parlare con ingegneri che progettano e realizzano, conoscono la normativa (e ne parlano poco). Vorrei sentire medici che studiano, capiscono, ma che parlano poco di sanità in astratto. Vorrei leggere e sentire racconti di cose nuove inventate da chi – ignorato – continua a concepire idee, a innovare tecnologie, a creare immagini (ma non film e quadri convenzionali e scontati), parole, ornamenti, a scoprire fenomeni naturali o teoremi, a divisare modi di organizzare attività di ogni genere. Vorrei che queste cose fossero presentate in modo piano e non pretenzioso.
Molte non le capirei – e vorrei che mi aiutassero a capirle. Invece come diceva Shakeaspeare, si fa troppo rumore per nulla. Non si vive bene così. Marziale diceva “la vita non è vivere – è stare bene (Non vivere, sed valere vita est).