Milano 1969: indagine senza fine sulla madre di tutte le stragi
“La bomba e la Gina. Intorno a Piazza Fontana” di Marco Codebò è un romanzo insieme storico, giallo e generazionale sull’attentato che, oltre 42 anni fa, diede inizio all’epoca del terrorismo eversivo e di Stato. I fatti veri s’intrecciano e quasi si confondono con un piano di fiction, utile a svelare o a riraccontare le molte verità che stanno dietro a quella fatale esplosione. L’autore si cala nei panni delle vittime, ma anche in quelli di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico morto precipitando da una finestra della questura meneghina.
di Simona Cigliana
In Italia, una delle più importanti risorse di salvataggio del mercato librario è stata senza dubbio, negli ultimi anni, la letteratura “gialla”. Le librerie ne sono state letteralmente invase e i lettori, complici di buon grado, hanno assistito ad una sua declinazione in molteplici forme, che spesso vantavano, in aggiunta all’appeal connaturato al genere, il richiamo diretto alla cronaca, all’attualità, alla storia delle patrie disgrazie. Dal poliziesco al noir, dalla spy story al thriller, dal giallo psicologico a quello sociale, dal nero metropolitano al romanzo d’inchiesta, questa letteratura ha trovato da noi abbondante materiale di cronaca per l’elaborazione narrativa, e il successo di vendite, com’era da prevedersi, ha influito non poco sulla ricaduta mediatica, con il risultato che anche la televisione, già di per sé largamente incline a cibar gli abbonati di sangue e misteri, ha dato amplissimo spazio ai format di taglio indiziario, che, dalla fine degli anni ’90 in poi, sulla scia dei fortunati programmi di Carlo Lucarelli, hanno ancor più invaso la fascia di prima serata.
Personalmente, trovo ripetitive e noiose la maggior parte di queste trasmissioni – e stucchevole pure la maggior parte di questi volumi (con però alcune notevoli eccezioni) -, anche allorquando promettano di “far luce” su qualcuna delle tragedie irrisolte della nostra storia politica. Ambientate in una cupa atmosfera da brivido, ricostruiscono e giustappongono indizi plausibili e non, alludono ad accadimenti inspiegabili o indicibili, in bilico tra rivelazione e censure; spandono veleni a destra e a sinistra, affettano una imparzialità che spesso non hanno, allineano, uno via l’altro, il delitto della porta accanto all’assassinio politico, e finiscono per suggerire allo spettatore medio l’aberrante e consolatoria sensazione di essere il solo fuori dalla melma, l’unico innocente in mezzo a tanto crimine: colui che si è salvato, nel suo modesto privato, dalla pubblica rovina.
Per questo dissento sostanzialmente con la definizione di “romanzo – inchiesta”, trascritta sul risvolto di copertina del romanzo La bomba e la Gina. Intorno a Piazza Fontana, di Marco Codebò (Roma, Round Robin Editrice), che ho appena terminato di leggere, tutto d’un fiato. Non è solo il fastidio per una formula troppo abusata, che rimanda, appunto, a prodotti di collaudato successo commerciale. Questo romanzo è molto di più. È, innanzitutto, un autentico romanzo, in cui si intrecciano voci e personaggi, veri e di fantasia, ma spinti, tutti, e costretti dai loro talenti e dalle loro scelte verso un ineluttabile destino: personaggi forti di un loro drammatico spessore o di una loro abietta coerenza che li muovono e li fanno parlare in maniera riconoscibile. È poi un romanzo storico, di ampio e sintetico respiro, che copre l’arco di cinquant’anni svolgendosi lungo l’intera nostra penisola, organizzandosi tra quinte temporali disposte secondo un ordine non cronologico ma “necessario”, atto a spalancare nel cuore degli eventi la vertigine di cause sciagurate, che si rincorrono nel tempo, come generate da una tabe strutturale, di antico contagio. C’è infatti una sottesa diagnosi, che corre parallela al racconto, e che i fatti via via ricomposti dimostrano: da cui deriva un giudizio sullo stato morale della nostra vita civile e da cui dipende il risvolto sociologico del libro, anch’esso ben visibile nell’ordito, che si arricchisce di ulteriori implicazioni in tutti quei capitoli in cui l’autore descrive il retroscena mentale dei protagonisti rimasti nell’ombra, la psicologia del potere, le inclinazioni e le attitudini umane che furono a fondamento, quasi a presupposto, di determinati atteggiamenti ideologici e politici.
La bomba e la Gina, è, infine, anche un romanzo generazionale, in cui l’autore fa riecheggiare le utopie e i disinganni della sua giovinezza e della sua (e nostra) maturità, e in cui chiama il lettore a compiere, insieme a lui, uno spietato esame di coscienza. Esso risuona nel turbamento con il quale Codebò si cala nei panni delle vittime (di Giuseppe Pinelli, prima e dopo lo spartiacque del suo salto mortale) e dei loro congiunti, nell’asciutto cordoglio che si esprime attraverso le loro parole, nel rispetto per quelle vite spezzate, immolate dai signori delle trame oscure sull’altare della patria – la cui storia ne resterà per sempre insozzata.
A ricordare che “tutto è politico”, una “Taimelain” in calce al volume, ricostruisce la cronologia lineare dei fatti e dei personaggi, veri e finzionali, su cui si basa l’intreccio, figurando come opera dell’ignoto ragioniere assunto all’Archivio di Stato per mescolare le carte e far sparire i faldoni: esso reca una nota d’Autore che suggerisce un efficace criterio di orientamento per discernere il vero dal falso: «più un fatto appare impossibile, più alte sono le probabilità che sia realmente accaduto».
Sì, perché le vicende seguite alla strage di piazza Fontana, compresa l’ultima sentenza di Cassazione, hanno realmente dell’incredibile, almeno quanto le piste che se ne dipartono, le quali sembrano condurre, all’indietro, fino ai tempi della Seconda Guerra mondiale, della Resistenza, al confino di Sandro Pertini a Ventotene e alla strage di Portella della Ginestra ad opera del bandito Giuliano; e collegarsi, in avanti, agli eccidi di piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus, della stazione di Bologna e del rapido 904. Nella storia di quelli che in molti pensano essere stati assassinî di Stato, la realtà potrebbe credibilmente superare di gran lunga la fantasia.
Di fatto, nei dubbi che spingono Jeremy Ventura, studente a Rutgers, a partire alla volta dell’Italia per conquistarsi un Master a pieni voti rivelando che cosa avesse in mente Pasolini quando, pochi mesi prima di essere ammazzato, dichiarava di conoscere i mandanti del massacro del 12 dicembre ‘69; nelle tesi complottistiche contenute nel manoscritto spedito all’editore da Telemaco Neofytos, PHD in Science Politiche a Princeton, potrebbe esserci molto di vero. I due piani, realtà e finzione narrativa vengono – si può supporre necessariamente – a confondersi: molto di ciò che diremmo figura del vero appare nel romanzo come frutto di illazione da parte di un capace studente americano alle prese con gli italici pasticciacci – e tante “verità” che il libro presenta come frutto di invenzione scaturiscono – i lettori lo scopriranno alla fine – da un’accurata opera di ricerca documentaria, le cui fonti sono dichiarate nella bibliografia del volume, dissimulata tra i Ringraziamenti. Ma come, nella realtà, le trame del complotto sono state ingarbugliate e confuse artificiosamente, così, nel romanzo di Codebò, si intersecano ad arte i piani del resoconto storico e quelli della finzione narrativa. L’evidenza che dal confronto scaturisce è tuttavia istruttiva, perché, se la vulgata ufficiale dei fatti risulta tutt’oggi insufficiente e paradossale e induce a ipotizzare la mala fede di chi si mostra deciso ad accontentarsene, la callida ingenuità della fiction prospetta invece, sulla base dei documenti superstiti, una serie di verità più che possibili.
Non c’è bisogno di essere lettori scaltriti per comprendere che dietro la simulazione romanzesca, che pure tiene e, come dicevamo, tiene molto bene, c’è la vita, quella vera, di chi è rimasto senza giustizia ed anzi ha dovuto subire ulteriori oltraggi: come i familiari di Pinelli, come i parenti delle vittime di strage, che si son visti condannare al pagamento di ingenti spese processuali. E’ lo scandalo di questa realtà inverosimile, che parrebbe uscita dalla penna di uno scrittore troppo estroso, che muove l’autore de La bomba e la Gina, con la forza di un’istanza morale e militante: nella convinzione che se lo Stato etico ancora latita, ed anzi sembra che sui suoi misfattila Repubblica voglia far calare un non-giudizio tombale, allora l’indignazione dei cittadini e degli scrittori deve trovar modo di esprimersi per perpetuare il senso di una vergogna collettiva, che non si può archiviare né sublimare.