Mukiri e Gitaigwa_Anthony Kabari Njororge
_Racconto finalista quarta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Mariella Larocca
C’era una volta nel villaggio di Kanugu, nelle terre più basse della valle
del Rift, in Kenia, una famiglia di quattro persone: padre, madre e
due figli, rispettivamente di nome Muhoru, Mukama, Mukiri e Gitaigwa.
Gitaigwa era più grande di Mukiri. I due ragazzi vivevano con la
madre perché il padre lavorava in una città lontana. Di solito il padre
andava a trovarli ogni fine mese. Tuttavia essi vivevano in una famiglia
molto felice; la madre era molto severa, tanto che essi potevano fare qualcosa
solo dopo aver chiesto il permesso. I ragazzi erano abbastanza maturi
da poter frequentare una scuola che si trovava a tre chilometri e mezzo
dalla loro casa. Erano soliti alzarsi molto presto al mattino, si preparavano
e raggiungevano i loro compagni per andare a scuola. Per tutto
il giorno la madre era indaffarata in casa badando alla fattoria e assicurandosi
che vi fosse abbastanza cibo per la giornata. Badava anche che
le mucche e le capre fossero curate dal mandriano e portate alla fonte,
che distava due chilometri, per abbeverarsi. Se, per caso, andava a trovare
il padre dei ragazzi, si assicurava che tutto fosse in ordine cosicché
essi avessero tutto l’occorrente durante la sua assenza per badare a
se stessi. Essi potevano anche cucinare, lavarsi gli indumenti, ed alzarsi
per le tre di mattina così da mungere gli animali e avviare il latte al
centro di raccolta, che distava un chilometro. Erano tempi difficili perché
per la maggior parte delle volte essi dipendevano, per la loro sussistenza,
da quanto ricavavano dalla vendita del latte. A volte i ragazzi
potevano essere mandati a casa dal preside delle loro scuole perché il
padre non era riuscito a pagare le rette. L’unica incombenza difficile che
essi dovevano affrontare, ogni sera dopo la scuola, era quella di portare
l’acqua che raccoglievano molto lontano da casa. Un compito che alla
fine della giornata li affaticava molto. L’unico modo per rilassarsi era
quello di giocare a mosca-cieca nella tarda serata. Studiare per loro era
difficile perché erano stanchi, tanto che tutto ciò che il giorno prima veniva
loro insegnato, a scuola, lo dimenticavano il giorno dopo. La loro
giornata tipica era questa dall’inizio alla fine della scuola. Quand’erano
in vacanza, però, c’era molto da fare nella fattoria, compreso il togliere
le erbacce. Avevano anche tempo per giocare con gli altri bambini
e, per fortuna, andare a trovare il padre lì dove lavorava.
Questa che racconteremo, fu l’unica occasione d’oro della loro vita su
cui poterono a lungo riflettere.
Una mattina, Mukama decise di andare a trovare suo marito Muhoru per
una settimana e di lasciare i ragazzi da soli giacché erano abituati a ciò.
Chiamò Gitaigwa, il più grande, e gli disse: “Voglio che tu mi ascolti attentamente.
Dal momento che tu ormai sei diventato un furfante, voglio
che tu sappia con chiarezza tutto ciò che devi sapere cosicché, nel caso
ti perdessi o qualcosa andasse storto, tu saresti l’unico responsabile. Tu
sei il figlio più grande”. “Mamma, farò tutto per bene. Dove vai?” chiese
il ragazzo. Mukama non rispose ma anzi continuò a dirgli: “ Ti ricordi…
l’ultima volta che vi ho lasciato non c’era danaro sufficiente da spendere,
perciò sono stata via soltanto un giorno. Ora ve ne lascerò abbastanza
cosicché potrete cavarvela anche se mi trattenessi fuori per una
settimana”. Il ragazzo sorrise ed annuì. Non la infastidì ripetendo la stessa
domanda una seconda volta. Aveva già intuito dove lei stesse andando,
sentendola parlare. Da quel momento Gitaigwa fu contento: aveva
capito che la loro libertà era iniziata e che così avrebbero avuto i soldi
per andare in uno dei più vicini centri commerciali come avevano avuto
voglia di fare già in passato, ma erano stati bloccati dalla mamma.
Mukama cominciò a prepararsi mentre diceva ai ragazzi cosa dovevano
fare.
Per fortuna era un fine settimana così i due ragazzi non dovevano andare
a scuola. Ebbero quindi tutto il tempo necessario per completare
le incombenze della giornata, lavare i vestiti e preparare da mangiare.
Non c’era bisogno che i ragazzi la vedessero andare via, così Mukama
uscì per andare a prendere l’autobus senza accorgersi che i ragazzi la
seguivano da dietro la boscaglia. Essi volevano essere sicuri che fosse
partita e poi andarono via anche loro. Cominciò così il loro viaggio: Gitaigwa
esultò di gioia e disse al fratello, Mukiri: “Sai, siamo liberi di
fare tutto ciò che vogliamo perché abbiamo cibo, denaro e non ci servono
tutti questi soldi per il cibo. Inviteremo invece i nostri amici e compreremo
pane, analcolici… e poi andremo al centro commerciale per comprare
per noi e per loro dei dolci a nostro piacere. Che ne pensi?” “Sì,
è un’idea brillante. Non ci divertiamo da tanto tempo”, rispose Mukiri.
“Ma… aspetta un momento. Come faremo se finiremo i soldi prima che
la mamma torni?”, chiese. “Ah! Non ti preoccupare. Abbiamo tanto denaro.
Ti farò vedere io come spenderli”, replicò Gitaigwa e tornarono a
casa per prepararsi.
Arrivati a casa, ebbero un bel da fare per preparare ogni cosa, incluso
andare a prendere l’acqua, tagliare la legna per il fuoco e lavare i loro
panni. Tutto questo fu fatto per evitare qualsiasi interferenza con il programma
del giorno dopo.
Nella lingua della tribù Kikuyu, Gitaigwa, come lo stesso nome suggerisce,
significa “uno che non tiene fede a ciò che gli viene chiesto”, e
Mukiri significa “modesto”. Ed ecco come i due ragazzi dimostrarono
il loro carattere.
Il mattino dopo arrivò. Si fecero la doccia, la colazione ed uscirono senza
avvisare il mandriano. Essendo domenica non c’era da preoccuparsi
perché il cibo era in cucina e, poiché egli sapeva che Mukama non
c’era, poteva mangiare da solo. D’altro canto, i ragazzi non volevano
dire dove avevano intenzione di andare per non essere smascherati al
ritorno della madre. Arrivati alla fermata dell’autobus, Gitaigwa, preso
dall’entusiasmo, prese Mukiri per le spalle, lo scosse e, tutto eccitato,
gli disse: “Sai? Ho in mente come fare per rendere la nostra giornata
ancora migliore e risparmiare il denaro che abbiamo”. E continuò: “Andremo
a casa del Sig. Mwega e, mentendo, gli diremo che la mamma
ci ha mandato a chiedergli in prestito la bicicletta per andare a prendere
l’acqua. E sarai tu ad andarglielo a dire”. Mukiri non disse di no, anzi
replicò: “E’ una buona idea, ma non credi che possa rifiutare?” “No,
sicuramente ce la darà perché ha molta fiducia in nostra madre. Non ti
preoccupare. Sii sicuro di te e lui lo farà”, rispose Gitaigwa. Mukiri non
esitò; fortunatamente, Mwega aveva programmato di restare a casa per
tutto il giorno e così, gentilmente, gli prestò la bicicletta avvertendolo
di stare molto attento perché egli usava la bici per andare ogni giorno
al lavoro. Tutto felice, Mukiri si allontanò e, quando arrivò dove Gitaigwa
lo stava aspettando, non riuscì a nascondere la sua gioia al fratello
che fece lo stesso con lui. Gitaigwa pedalava mentre Mukiri si teneva
saldamente al sellino e si diressero di corsa al centro commerciale.
Prima di arrivarci, incontrarono un compagno di scuola, di nome
‘Makena’, che abitava vicino a loro. Si fermarono; Makena li salutò tutto
eccitato e chiese: “Forse vostro padre vi ha comprato una bicicletta?”
Gitaigwa, senza esitare, rispose: “Certo che sì! E ora verremo a scuola
in bicicletta; niente più andare a piedi”. Makena non poteva credere
ai suoi occhi e giurò che sarebbe andato dal padre e gli avrebbe fatto la
stessa richiesta. Agitò la mano in segno di saluto ed essi continuarono
il loro viaggio.
Una volta arrivati al centro commerciale incontrarono un compagno di
classe di Gitaigwa che, quella mattina, era andato a trovare uno zio. Questi
consigliò loro di lasciare la bicicletta a casa di suo zio per essere liberi
di girare per la città. Gitaigwa accettò volentieri e così fecero. Il ragazzo
li accompagnò nella loro scorribanda che, così, si rivelò molto
interessante giacché il compagno di Gitaigwa conosceva molti più luoghi
dei due ragazzi avendoli visti diverse volte.
Cominciarono con il centro di attrazione per ragazzi dove c’era un famoso
acrobata, giochi per ragazzi e molte altre cose artistiche da vedere.
Fu il luogo più interessante dove trascorsero la maggior parte del tempo.
Sempre insieme al compagno, andarono poi per alberghi e negozi
per guardare le vetrine e comprare ciò che preferivano.
Arrivò la sera e tornarono indietro per riprendersi la bicicletta così da
arrivare a casa per tempo. Fu la volta di Mukiri a pedalare perché Gitaigwa
era stanco. Si misero in viaggio sebbene egli non fosse molto attento
e a volte finisse fuori strada, ondeggiando; Gitaigwa, però, continuò
ad incoraggiarlo affinché pedalasse. Sfortunatamente Mukiri perse
il controllo e caddero ma non si fecero molto male; non si resero conto,
però, che la pompa della bicicletta cadde nello stesso momento. Neanche
Gitaigwa se ne accorse e la lasciarono lì. Dopo essere arrivati a casa
si affrettarono a riportare la bicicletta al Sig. Mwega ma non lo trovarono.
Li ricevette sua moglie; Mwega era partito quella sera per partecipare
ad un seminario della chiesa organizzato per il benessere della
comunità parrocchiale e si sarebbe fermato fuori quattro giorni. Tornarono
a casa a piedi e continuarono a fare quello che facevano sempre,
così da esseri pronti per la scuola la mattina dopo. Non poterono cucinare
alcunché perché erano stati fuori troppo. La mattina arrivò e si svegliarono
presto, come al solito. Gitaigwa sembrava essere molto stanco.
Lo annoiava perfino pensare di farsi la doccia. Mukiri si preparò in
fretta, si pulì le scarpe ed indossò la divisa scolastica. Aquel punto Gitaigwa
si trascinava ancora per casa e quando Mukiri insistette che
avrebbero fatto tardi, disse: “Ciò che devi fare è andare a scuola e dire
al nostro insegnante che la mamma è andata a trovare nostro padre che
è ammalato, e che io devo restare a casa per prendermi cura delle mucche
e dei polli”. Poi continuò: “Digli anche che andrà avanti così finché
mamma non tornerà”.
Mukiri lo fece e l’insegnante fu d’accordo.
Passarono i giorni uno dopo l’altro ed arrivò il quinto. Per fortuna o forse
no, la mamma tornò a tarda sera, inaspettatamente. Era il momento
adatto per ripulire il terreno dalle erbacce e Mukama decise di tornare
a casa ed essere pronta per la sarchiatura.
Quando arrivò a casa, i ragazzi, innocentemente, la salutarono ma ella
rispose con un’espressione severa. Gitaigwa la guardò e disse a Mukiri
che le cose si mettevano male. Dopo un po’ ella li chiamò come se
avesse cattive notizie da riferire e cominciò: “E’arrivato il momento della
vostra punizione perché pensavate che io mi sarei fermata ed invece
non è stato così”. I ragazzi si guardarono spaventati. Mukama continuò:
“Sto andando al negozio e quando tornerò mi dovrete dire chi vi ha detto
di andare a prendere in prestito la bicicletta del Sig. Mwega… e gli
dovrete restituire la pompa, altrimenti le prenderete”. Uscì amareggiata
ed i ragazzi percepirono il pericolo.
Non era più il momento per Gitaigwa di stare a pensare alla bicicletta;
chiamò Mukiri e gli disse: “Facciamo le valigie e andiamo a nascon-
derci nella vicina boscaglia perché le cose non vanno bene”. Poi continuò:
“Potrebbe ucciderci oggi; sbrighiamoci!” Misero da parte velocemente
le loro robe e si preoccuparono di portar via più di due abiti così
da poter fronteggiare il freddo della notte.
Quando Mukama tornò, la casa era silenziosa, molto silenziosa, le luci
erano spente e i cancelli aperti. Si innervosì e cominciò a chiamare i ragazzi
per nome: “Gitaigwa!”, “Mukiri…!” Nessuno rispose. Automaticamente
capì che erano andati a nascondersi per timore di essere picchiati.
Senza preoccuparsi molto continuò a fare ciò che doveva, sapendo
che i ragazzi potevano tornare. Poiché dormivano in un’altra casa, pensò
che potevano passare lì la notte.
I ragazzi tornarono intorno alle quattro di mattina e piano piano andarono
a dormire in casa perché, durante la notte, avevano preso molto
freddo. Avevano pensato di svegliarsi all’alba e di andare a trascorrere
la giornata da alcuni amici di famiglia, che abitavano a dieci chilometri
da loro.
I ragazzi dormirono profondamente ed arrivò il momento per la
mamma di alzarsi, mungere gli animali e spedire il latte al centro di
raccolta.
Mukama pensò di andare a controllare se i ragazzi fossero in casa; e,
infatti, c’erano. Chiuse a chiave la porta dall’esterno senza che i ragazzi
se ne accorgessero. Munse gli animali e preparò tutto per consegnare
il latte. Prima di andar via, si arrampicò sugli alberi lì accanto e tagliò
tre grosse canne con cui battere i ragazzi. Fortunatamente per loro,
Mukiri udì il rumore dei rami spezzati e svegliò Gitaigwa. Ebbero la
netta sensazione di essere sotto tiro quando si accorsero che la porta era
chiusa a chiave dall’esterno. Mukama partì per consegnare il latte ben
sapendo di avere pronte le canne con cui punire i ragazzi al ritorno.
I ragazzi usarono tutto il loro ingegno per uscire di casa: Gitaigwa ruppe
la rete posta intorno alla finestra e scapparono.
Al suo ritorno Mukama entrò in casa con molta sicurezza, brandendo
le canne, e disse ai ragazzi di aprire la porta dall’interno. Ma… non c’era
nessuno! Fece il giro della casa solo per rendersi conto che se l’erano
svignata dalla finestra.
I due ragazzi raggiunsero la loro destinazione dopo un giorno. Menti-
rono agli amici di famiglia e sostennero che la mamma li aveva mandati
lì perché erano stati allontanati da scuola per racimolare soldi per
le rette, soldi che al momento non avevano.
Per quanto sapessero che il fatto era difficile, gli amici accolsero benevolmente
i ragazzi per una settimana. Quando il padre tornò a casa
e seppe che i ragazzi erano lì, fece in modo che essi tornassero a casa
e non fossero puniti. Il papà consigliò alla mamma di parlare con i ragazzi
piuttosto che punirli. Da quel giorno la loro vita fu felice e tornarono
a scuola.