Non gli direi nemmeno l’ora
di Roberto Vacca
Richard Blake era ricco. Lo chiamavano Rich i suoi amici, ma ne aveva pochi: era antipatico e non pagava i debiti. Era suo creditore per forti somme anche il Comune della sua città – Galway sulla costa occidentale dell’Irlanda circa 100 kilometri a Nord di Limerick. Quegli amministratori avevano deciso di installare quattro grandi orologi sui quattro lati del campanile della chiesa di San Nicola. Il comune, però, era a corto di soldi. Così gli orologi furono solo tre. Rimase senza la facciata Nord che guardava verso le proprietà di Blake, che fu privato, quindi, del time of day – di vedere dalla finestra che ora fosse.
Sono passati vari secoli da allora e alcuni hanno proposto un altro mito – forse fantasioso. Sarebbe stato il priore di San Nicola a lasciare senza orologio chi abitava a Nord, per dispetto verso il convento francescano di clausura, Poor Clares, delle suore di Santa Chiara, con le quali aveva qualche bega o divergenza di opinione.
L’espressione time of day si trova già in Shakespeare: nel I atto, scena II del Riccardo III. Stanley Conte di Derby, saluta la regina Elisabetta con le parole:
“Good time of day unto your Royal Grace”.
A metà del secolo XIX si diffuse negli Stati Uniti la frase (usata ancora oggi da alcuni):
“I wouldn’t give him the time of day – [se me lo chiedesse] non gli direi nemmeno che ore sono.” Intesa a bollare la persona di cui si parla come una spiacevole nullità da non tenere in alcun conto e a cui non rivolgere nemmeno la parola.
Un’altra preclusione di una veduta notevole, che presenta una vaga analogia con quella di Galway, ebbe luogo a Roma nel 1735. L’architetto Nicola Salvi aveva cominciato a costruire la Fontana di Trevi – secondo alcuni la più bella del mondo. Un antipatico barbiere, che aveva la sua bottega sul lato destro della piazza, lo criticava continuamente. Salvi, allora, fece costruire a uno dei suoi scultori un grosso vaso di marmo che posizionò in modo da impedire al barbiere di vedere la fontana. Il vaso sta ancora al suo posto e da tre secoli si chiama “l’Asso di Coppe” per la sua somiglianza con la carta da gioco napoletana.
Ci sono strumenti travestiti da orologi: danno l’ora, ma servono a molti altri scopi. Fra questi primeggiano gli smartphone, che contengono enciclopedie, atlanti, navigatori, macchine fotografiche e telecamere. Possono essere molto utili – anche se le funzioni che offrono si ottengono con altri mezzi tradizionali o moderni. Certi orologi da polso incorporano telecamere nascoste con cui agenti di polizia, o anche impiccioni, riprendono surrettiziamente azioni o dichiarazioni di qualcuno.
Certi orologi non sono nascosti, ma è come se non esistessero perché l’informazione che generano è illeggibile o può essere acquisita con estrema difficoltà. Alcuni di questi, analogici, hanno il quadrante privo di numeri e di tacche; chi li guarda può fare soltanto una rozza stima della posizione delle lancette ed è molto probabile che si sbagli.
Altri sono troppo piccoli. Altri – grandi – installati all’aperto, sono illeggibili quando il sole è abbagliante dietro di essi o si riflette sul vetro anteriore o tramonta e non sono illuminati.
Accade spesso che messaggi visivi non siano ricevibili. Certe lampade-spia su strumenti moderni [televisori, cruscotti di auto] sono tanto piccole e fioche da essere invisibili già alla distanza di qualche decimetro. Certe scritte stradali ..sono in caratteri tanto piccoli e sbiaditi che riesce a leggerle solo chi va a piedi – chi guida non ne ha il tempo. Si trovano messaggi e testi registrati in blog o trasmessi con E-mail in corpo 6 [illeggibili, appunto, come il contenuto di questa parentesi] o in corpo 8 [leggibili con difficoltà anche da parte di giovani.]
Io scrivo i miei testi in corpo 13: vanno bene per la stampa o in corpo 16 per le e-mail che invio ad anziani.
Poi c’è il problema della scarsa leggibilità che dipende dai contenuti: dalla scelta delle parole, dalla struttura delle frasi, dalla concatenazione dei concetti: ma qui il discorso diventerebbe assai più lungo.