Nord Uganda in cerca di pace. Le difficoltà di un negoziato
Amani – 18 Febbraio 2011 di Renato Kizito Sesana
Il nord dell’Uganda è stato devastato da una guerra civile crudele, che ha visto bambini rapiti e forzati a combattere, ragazze rapite, violentate e costrette a vivere come mogli dei ribelli. Il movimento che è il primo responsabile di questa guerra è il Lord’s Resistance Army (Lra, Esercito di resistenza del Signore), si chiama così perché nacque nel 1987, con motivazioni religiose, già molto confuse all’inizio, che nei venti anni di guerra sono state completamente distorte e utilizzate per imporre riti e pratiche che non hanno la benché minima e lontana relazione con il Signore.
Dal luglio 2006, una delegazione dello Lra partecipa a un tavolo di negoziati a Juba, capitale del Sud Sudan, assieme a una delegazione del governo ugandese. Il cui esercito – bisogna sottolinearlo – nel corso di questa lunga guerra civle, non ha mancato di praticare gravissimi abusi di diritti umani, i quali, però, in genere, sono stati sottaciuti, in nome della vicinanza del governo ugandese al mondo occidentale. Le due parti, dopo appena un mese di negoziati – che hanno visto come mediatore il vicepresidente del Sud Sudan Riek Machar -, hanno firmato nell’agosto del 2006 un accordo di cessazione delle ostilità che resta, finora, il risultato più importante dei colloqui.
Sono stati molti i fattori che hanno spinto i leader dello Lra ad accettare di sedere a un tavolo, rinunciando alle azioni armate. Innanzitutto il crescente e sempre meglio coordinato intervento militare del governo ugandese; poi le pressioni di vari gruppi della società civile, non ultimi i leader tradizionali e religiosi (tra i quali ha avuto e mantiene un ruolo preponderante John Baptist Odama, l’arcivescovo di Gulu); infine la condanna dei quattro principali leader dello Lra, da parte della Corte penale internazionale. Altre istituzioni locali e internazionali sono entrate, successivamente, a far parte del processo di pace. Si può anche pensare, anche se ciò non è mai stato riconosciuto dalla Lra, che i leader del movimento si siano resi conto che la gente era ormai sfinita da questa guerra e che quindi temessero di perdere completamente ogni sostegno.
Al promettente avvio dei colloqui, è seguito un lungo stallo. Probabilmente perché, da un lato i membri della delegazione, per lo più non militari, scelti dai leader Lra fra i membri della diaspora acholi (1) , non si sentono sufficientemente in contatto con la leadership. Dall’altro lato, molti di questi delegati non hanno una specifica competenza diplomatica e – come alcuni di loro mi hanno confidato – “non hanno nessuna fiducia né nella controparte, né nel mediatore principale, né nelle istituzioni che assistono la mediazione” e quindi, temono di essere indotti a firmare documenti che potrebbero rivelarsi, in un secondo momento, delle trappole.
La mancanza di fiducia nei negoziatori divenne molto chiara quando, alla fine del dicembre 2006, la delegazione Lra se ne andò da Juba e in un comunicato stampa del gennaio 2007, dichiarò che voleva fossero cambiati sia la sede dei colloqui, sia il mediatore, sia il team che lo appoggiava. Nessuno fu capace di impedire questo passo. I colloqui ripresero alla fine di aprile 2007, quando lo Lra è stato convinto ad accettare lo stesso luogo e lo stesso mediatore, in cambio di vantaggi materialie sotto una pressione internazionale enorme.
I colloqui sono incominciati per merito di alcuni membri della diaspora acholi, che dopo essere tornati in Uganda, sono riusciti ad organizzare alcuni incontri con la leadership Lra. Dopo aver riallacciato i rapporti e stabilito un’intesa, basata sulla reciproca fiducia, sono riusciti a far passare l’idea che era importante arrivare a una pace negoziata, per il bene di tutti.
Il nucleo iniziale della delegazione Lra è nato, così, intorno a persone che avevano un contatto continuo e positivo con la leadership e che si sentivano autorizzate a parlare a nome delle popolazioni marginalizzate del Nord Uganda.
Nell’iniziare questo processo, la condanna della Corte penale internazionale – al contrario di quanto viene talvolta affermato -, ha avuto un ruolo molto marginale. Solo successivamente si è trasformata in un serio ostacolo.
Inoltre, con il passare del tempo e il costante cambiamento di membri della delegazione, dovuto al fatto che molti di loro hanno impegni professionali, che non possono permettersi di sospendere indefinitamente, la delegazione Lra sembrava aver perso il suo obiettivo iniziale: sono entrati in gioco interessi e rivalità personali che hanno lentamente reso la mediazione più difficile e hanno scavato un solco fra la leadership Lra e la sua stessa delegazione, al punto che non si può mai essere sicuri che la delegazione rappresenti adeguatamente la leadership. Altri fattori concomitanti che hanno contribuito a indebolire i colloqui, sono l’impreparazione del mediatore capo, l’indaguatezza delle strutture e dei servizi dei locali, dove si svolgevano i negoziati (i quali sono praticamente una grande balera in riva al Nilo) e l’atmosfera di poca serietà, per non dire di corruzione, che vi si respirava. Per esempio, tutti sanno che gli “alberghi” e le strutture per i negoziati, affittate a costi assolutamente esorbitanti, appartenevano a persone molto vicine – e che a volte coincidevano – ad alte personalità del governo sudsudanese, eppure l’ufficio delle Nazioni Unite che gestiva economicamente i negoziati, continuava imperterrito in questa pratica.
Africa Peace Point, una ong keniana, nata da Koinonia, ha accompagnato negli ultimi mesi la delegazione dello Lra, cercando di fare capacity building e convincendoli a riprendere i negoziati a Juba, nell’aprile 2007. Non è stata un’azione facile. Ci si è scontrati con interessi consolidati di molte parti, perfino di associazioni e istituzioni che si sono nominate da sole “facilitatori” e che dovrebbero essere interessate a una rapida conclusione dei colloqui, ma che, invece, sembravano più che altro attente a proteggere la propria “zona d’influenza”.
C’è bisogno di persone competenti, credibili e neutrali per facilitare il proseguimento dei colloqui, in modo che non si arrivi solo a firmare una pace, ma che questa risulti sostenibile a lungo termine, tenendo conto dei legittimi interessi di tutte le parti coinvolte.
(1) Gli acholi sono la colazione principale dell’Uganda settentrionale: circa 800mila persone che vivono nei distretti di Kitgum, Gulu e Pader. Alcune comunità acholi vivono anche in Sud Sudan, nella zona al confine con l’Uganda.