Occhi color mare, Gemma Fundoni_Buddussò(SS)
Finalista Premio letterario Enerrgheia 2024 – Sezione giovani
Il rumore assordante della sirena dell’ambulanza che entrava nella piccola casa di campagna, la confusione che regnava tra le persone che prendevano il corpo ormai senza vita del padre, con lo specchio che rifletteva quella bambina di 7 anni che aveva visto morirle il suo eroe davanti essendo totalmente impotente.
“Lasciatelo stare!”
Gemma si svegliò di soprassalto, con gli occhi ancora umidi e gonfi e si girò verso il comodino per poter vedere l’ultima foto fatta con suo padre, proprio in quel giorno e in quella casa, dove non metteva piede ormai da anni.
Gemma aveva sempre vissuto in città, in un condominio esageratamente affollato, abbastanza da privare di riservatezza chi ci viveva. La sua era una zona periferica di Milano, che da lei veniva considerata una città vuota e grigia, soprattutto in un giorno di dicembre come quello.
Quel giorno si svegliò nel piccolo appartamento dove abitava con la madre ed il fratello, convinta che tutto fosse al proprio posto come sempre, e mentre si guardava allo specchio, si chiedeva chi lei fosse realmente. Rifletteva spesso su questa domanda che ultimamente le offuscava la mente, “Ma chi sono io?”.
Percepiva spesso ciò che provavano le persone guardandola negli occhi: lei era riservata ma era considerata “cattiva”, solo perché aveva sempre amato fare tutto di testa sua.
Forse questo era il suo più grande problema: questa voglia di non essere sopraffatta da nessuno che finiva per schiacciare chiunque le si avvicinasse. Respingeva perennemente le persone per non essere mai più respinta.
Si guardava negli occhi, tramite l’immagine riflessa nello specchio nel piccolo bagno dell’appartamento, quegli occhi che nascondevano talmente tanti segreti da aver oscurato la loro iride con una coperta color castano ma che illuminandosi mostravano una leggera sfumatura color verde scuro.
Quella mattina però era diversa. Lo percepì dalla voce spezzata della madre quando la chiamò a tavola per fare colazione insieme, come tutte le domeniche, l’unico momento in cui la famiglia era riunita; ma capì che non era una mattina come le altre anche dalla tensione della madre che evitava di guardarla negli occhi.
Si girò dal fratello, ma nel suo sguardo vide solo un’aria spaesata. Il silenzio venne rotto da una frase della madre che sembrava quasi un sussurro ma che fu sufficiente per scandire le poche parole, devastanti per Gemma: “Stanotte è morta vostra nonna”.
In quella frazione di secondo si sentì quasi come se le fosse caduto il mondo sopra, come se le fosse entrata nel petto una lama lacerante, e, nel mentre che la madre diceva che avrebbero dovuto preparare i bagagli, Gemma non poteva far altro che rimanere seduta nella propria sedia, ancora a tavola, per sprofondare nei suoi pensieri.
Lei non era mai stata nella casa di famiglia, in un paesino vicino al mare, in Liguria: era sempre stata la nonna ad andare in visita da loro, a Milano. Gemma aveva un ottimo rapporto con la nonna, si sentivano e si vedevano spessissimo: era l’unica vera amica che le era rimasta al fianco, nonché l’unica famiglia, data l’assenza frequente da parte della madre. Gemma si rivedeva molto in lei, ed era così impossibile ed inaspettato che la nonna non ci fosse più che ci mise un po’ a realizzarlo.
Nel giro di venti minuti erano già tutti seduti in macchina e procedevano verso l’uscita di Milano. Il viaggio durò circa due ore e mezza, che furono di totale silenzio perché nessuno aveva più niente da dire. Lei cercava disperatamente uno sguardo di conforto negli occhi della madre tramite lo specchietto retrovisore, ma la vedeva persa nei suoi pensieri mentre guidava.
Il tempo del viaggio era volato velocemente. Appena entrata in quella casa, Gemma fu sul punto di sentirsi male, fu quasi presa da un senso di angoscia nel vedere tutte quelle persone che, da quando era morto il padre, lasciando la famiglia in un tunnel di debiti, avevano ignorato la sua esistenza e quella di suo fratello. Il pensiero di ciò le diede semplicemente un senso di disgusto. E vedere sua nonna in quello stato, ormai con le mani fredde, la fece sentire ancora di più rinchiusa in una gabbia dove tutti erano gatti e lei l’unico topo.
Si girò di scatto e, mentre provava ad uscire da quella casa, si sbatté contro un uomo che non aveva mai visto prima, che la guardava quasi stupito e le fece capire che molti di quelli che facevano parte di quella “famiglia” non sapevano nemmeno della sua esistenza e, se pure ne erano al corrente, non riuscivano nemmeno a riconoscerla, tanto era il tempo che era passato. Alla fine riuscì a venir fuori da quella casa senza nessun altro intoppo.
Il primo posto in cui Gemma pensò di rifugiarsi fu il mare, dove lei non era mai andata: ne aveva solo sentito parlare nei racconti di sua nonna. Quello che alla nonna piaceva di più raccontare era di quando conobbe il nonno, e di quella grotta vicino alla spiaggia che fino al loro matrimonio era stata il loro rifugio: le rispettive famiglie infatti avevano proibito loro di vedersi, solo perché lei faceva parte di una delle famiglie più agiate del paese e lui di una delle più povere.
Però dopo la morte di suo marito, nonostante lei amasse così tanto il mare, non ci tornò mai più e l’unico modo in cui Gemma aveva potuto conoscere suo nonno era stato tramite i racconti della nonna, dato che lui era venuto a mancare prima che Gemma nascesse.
Appena arrivata sulla spiaggia, Gemma provò una sensazione di vuoto, come se mancasse qualcosa dentro di lei.
Guardando il mare capì quanto in realtà lei non sapesse chi fosse, il sentirsi estraniata da qualsiasi situazione che fino a quel giorno l’aveva coinvolta e da qualsiasi persona che l’aveva circondata.
Sentirsi sbagliata e non voluta le faceva male, pur essendo ricercata da tutte le persone che la circondavano. Si rendeva conto che tutto attorno a lei era sbagliato, le situazioni e le persone che le giravano intorno: come se fosse in una ruota e lei stesse al centro, protetta da una barriera, e tutti gli altri cadessero non avendo più un punto d’appoggio.
Mentre la sabbia copriva i suoi piedi scalzi e il vento freddo dell’inverno le accarezzava il viso pieno di lentiggini facendole muovere i suoi capelli neri, si immaginava suo nonno e sua nonna ballare, i capelli biondi di lei che svolazzavano per la leggera brezza estiva e gli occhi di lui “color mare”, almeno così la nonna li definiva, la loro canzone preferita che suonava alla radio del vecchio bar del tempo, come in uno dei tanti racconti della nonna.
Immaginandoseli così, Gemma iniziò a piangere, un pianto liberatorio. Guardò il mare calmo ma grigio: sembrava che anche il cielo sapesse che la persona migliore del mondo se n’era andata e non sarebbe mai più tornata.
Mentre le lacrime le rigavano il viso, sentì una mano appoggiarsi delicatamente sulla sua spalla e si rese conto che l’unica vera famiglia che lei aveva in quel momento era sua madre.
La guardava negli occhi ma li vedeva spenti, vuoti di tutta la vita che l’aveva riempita fino alla sera prima, quella vita in cui non erano mai stati un peso i sacrifici fatti ogni giorno per lei e suo fratello.
Nonostante la sua abituale freddezza, che obbligava al distacco chiunque le stesse vicino, si sentì avvolta da un abbraccio caloroso da parte della madre, che cercava conforto e affetto da parte di sua figlia, che negli ultimi anni non le erano stati concessi. Ma l’unica sensazione che Gemma provava in quel momento era rabbia, nei confronti dei suoi parenti, delle amiche che non erano presenti in quell’attimo di dolore, nei confronti della bancarotta che aveva travolto il padre e cambiato totalmente la loro vita, ma soprattutto nei confronti di sé stessa.
I giorni del lutto furono un inferno per lei, circondata da persone che non le avevano mai rivolto nemmeno una parola e che non l’avevano rivolta nemmeno alla nonna per tanti anni, eppure erano lì a fingere di essere una “famiglia”, nonostante sapessero quanto fossero stati assenti nella vita della nonna.
Quando finalmente tornò nel suo appartamento a Milano, Gemma si sentiva come un semplice pezzo di carta, privo di vita, perché dal giorno della morte della nonna la sua vita si era lentamente trasformata in quello, e nonostante passassero giorni, settimane e mesi da quando era tornata, quella mattina le rimaneva sempre impressa nella sua mente.
Tornare a scuola e alle attività solite era ogni giorno più difficile e le uscite erano sempre meno.
Si rese conto quanto in realtà fosse circondata di persone false, dato che l’azienda della madre negli ultimi mesi stava rincominciando a fiorire e i professori per questo la privilegiavano e i ragazzi la cercavano. La vita perfetta per chiunque, ma non per lei.
Viveva ancora con la sensazione di vuoto, senza riuscire a concentrarsi su nulla di quanto le capitasse, e più si guardava allo specchio e più si odiava.
Dopo un anno dalla morte della nonna insieme a sua madre, tornò nella spiaggia dove era stata l’anno prima. La giornata era luminosa, nonostante fosse un giorno di dicembre. Si sedettero sopra un telo e l’unica cosa che Gemma riuscì a fare in quel momento fu fissare il mare del colore del cielo: magari erano davvero di questo colore gli occhi del nonno, ma di una cosa era certa, di questo colore lo erano quelli della nonna.
Dopo un momento di silenzio sembrato un secolo, Gemma abbracciò sua madre, e per la prima volta la sentì realmente vicina. Fece un respiro profondo e le scivolò sul viso una lacrima.
In quel momento capì che lei doveva smettere di tormentarsi per scoprire chi realmente fosse, ma doveva e poteva sceglierlo senza alcuna fretta, così da sentirsi finalmente se stessa e non solo “Gemma”.
Il mare le diede un senso di malinconia, ma allo stesso tempo di pace e il pensiero della nonna le provocò un nodo alla gola e un fremito dolce nel cuore, perché sapeva che la nonna era lì in ogni cosa, ma soprattutto era dentro di lei.
Dieci anni dopo
“Cara Nonna
Nel giorno di oggi 10 anni fa venne a mancare l’unica persona in grado di capirmi come avevo bisogno di essere capita, tu. Sei stata ciò che non saresti dovuta essere per me, un padre. La morte del mio quel pomeriggio d’estate fu traumatica, e la tua dopo qualche anno non fece altro che incrementare la mia rabbia nei confronti delle persone intorno a me.
Questa paura di mostrarmi come sono realmente e di imparare ad amare incondizionatamente è nata perché la vita mi ha insegnato sin dalla giovane età che le persone non sono per sempre, e che quando se ne vanno fa tanto male.
Il giorno del funerale desiderai soltanto che si aprisse una voragine pietosa e che risucchiandomi, mi risparmiasse dallo strazio di vivere una vita senza la persona più importante che mi era rimasta.
Avrei da dirti tante cose, se non fossi certa che già le conosci perché mi guardi da lassù come mi avevi promesso. Ho realizzato il nostro sogno e tra qualche settimana uscirà il mio primo libro, che parla di noi, anzi, di te.
Un giorno mi dicesti che non c’è lavoro più difficile di quello di mettersi davanti ad un foglio bianco, e con tanto impegno riempirlo di cose abbastanza belle, intelligenti e nuove da renderlo degno dello sguardo di qualcuno all’interno di una biblioteca e quando iniziai a scrivere di te capii quanto veritiera fosse questa frase.
È ora di lasciarti andare, ho vissuto questi ultimi anni ad aggrapparmi al tuo ricordo, cosa che mi ha distrutto sempre un po’ di più finché ho capito che tu eri sempre lì con me.
Spero di renderti fiera di me almeno un quarto di quanto io lo ero di te, ti amo.
~Gemma”