Oltre quel muro, Rodolfo Andrei_Roma
_Racconto finalista ventitreesima edizione Premio Enerrgheia_2017
Menzione Miglior racconto da sceneggiare
Quel muro così alto, imponente e freddo era l’ultima immagine che Jusuf vedeva prima di uscire dalla propria scuola.
L’edificio scolastico del piccolo villaggio di Anata, situato nella zona nord di
Gerusalemme, pochi mesi prima era stato tagliato in due da una barriera di cemento, come ritorsione contro gli ultimi attacchi suicidi avvenuti in territorio israeliano.
Mentre dal lato palestinese erano state relegate le classi, il cortile con il campetto da gioco era stato rinchiuso in territorio israeliano, impedendo ai piccoli alunni di godersi quei pochi momenti di spensieratezza giornaliera.
Jusuf, dopo che la campanella aveva suonato la fine delle lezioni, restava immobile di fronte a quel muro per diversi minuti.
Lì davanti le immagini delle partite a pallone giocate insieme ai compagni di classe e vissute fino a poco tempo fa gli scorrevano nella mente.
Era difficile per un bambino capire perche un’assurda guerra tra due popoli potesse spazzare via anche i giochi più innocenti di piccole creature estranee a questa crudeltà.
Il suono della campanella decretava la fine della giornata di studio, ma il ritorno a casa non era più così allegro come una volta per Jusuf.
Per lui, ora, era rimasto solo lo studio e il lavoro da svolgere con i genitori.
Le ore passate a giocare nella scuola erano state un buon diversivo per tutti i bambini, un aiuto per poter dimenticare, anche se solo per poche ore, le atrocità della guerra.
Da tempo non esisteva più neppure quest’ancora di salvezza.
Jusuf, come per ricordare quei momenti felici passati, rimaneva volentieri in silenzio nel piazzale con lo sguardo nel vuoto.
Anche quel pomeriggio, come ogni pomeriggio, la campanella aveva dato il via libera agli studenti, e come ogni giorno Jusuf prima di andare via, fece visita a quel muro: il suo personale album di ricordi.
I pensieri gli frullavano nella mente come una partita a ping-pong, ma lo rendevano sereno, e questa era la cosa più importante.
Le nuvole scure facevano da cappello alla scuola, mentre il vecchio cancello di ferro arrugginito aveva visto uscire tutti, maestranze comprese, già da molti minuti.
Mancava solo Jusuf.
Era tardi, Jusuf voltò le spalle al muro incamminandosi verso l’uscita, ma dopo pochi passi dei tonfi sordi rimbombarono nel cortile e immediatamente nella sua mente.
Il bambino si fermò di colpo. Altre volte aveva sentito botti simili, scoprendo poi purtroppo che erano partiti da fucili nemici.
La paura di camminare lo attanagliò, e restò con le orecchie dritte in attesa di altri rumori.
Non ne sentì altri e, dopo un attimo con suo grande stupore, si ritrovò tra i piedi una vecchia palla di cuoio. Rimase incredulo.
La prese in mano con gioia infinita ma con molta diffidenza allo stesso tempo. Si girò verso quel muro che aveva partorito quel regalo inaspettato e subito si immaginò, dall’altra parte della muraglia, un bambino bisognoso di giochi come lui.
Abbracciò con forza quella palla goffa, dura ma magica. La voglia di portarla a casa fu forte ma subito dopo il desiderio di scambio e la voglia di andare oltre le barriere, lo portò a lanciarla dall’altra parte.
Attese qualche minuto senza rivedere la sfera, non la rivide e pensò che forse era stato un sogno, o che il bambino oltre la barriera si era ripreso il proprio gioco.
Poi di nuovo quei rimbalzi sordi, la palla era tornata da Jusuf, la figura misteriosa aveva deciso di giocare ancora con lui.
Altri lunghi passaggi sia da una parte che all’altra del muro furono scambiati tra i due palleggiatori improvvisati.
Jusuf era al settimo cielo, da mesi non si sentiva così felice, ed era bastata solo una vecchia palla di cuoio.
Quella sera il piccolo tornò a casa più tardi del solito, ma tenne per sé il segreto del suo nuovo amico. Aveva nascosto il pallone prima di uscire da scuola, augurandosi che la notte passasse velocemente per poter giocare di nuovo con lo sconosciuto compagno che c’era oltre quel muro.
Il giorno dopo la campanella suonò come al solito, alla solita ora, ma per Jusuf fu un suono diverso, era come il segnale dell’ora di gioco da lui tanto attesa.
Nessuno dei suoi compagni era stato messo al corrente, e lui era in trepidante attesa di nuovi scambi di felicità.
Attese che tutti avessero varcato quel cancello arrugginito e, riprendendo la vecchia palla, la lanciò oltre quel muro.
Il cuore gli batteva forte, e restò con la testa all’insù per alcuni minuti nella speranza di riabbracciare la sfera magica.
Un attimo dopo la visione di quella boccia roteante che oltrepassava il muro gli fece sgranare gli occhi e allargare il cuore. Jusuf la bloccò senza nemmeno farla battere per terra, afferrandola come un portiere di consumata esperienza.
Anche quel pomeriggio fu pieno di intensi passaggi, regalando momenti di gioia e felicità al piccolo scolaro.
Da allora Jusuf non vedeva l’ora di arrivare all’orario d’uscita per poter continuare quei magici passaggi.
La felicità di aver trovato un amico di giochi gli aveva fatto passare in secondo piano la curiosità di sapere chi ci fosse al di là del muro.
I giorni scorrevano veloci e sereni per il piccolo, facendogli scordare, anche se solo per alcuni momenti, la cattiveria della guerra.
Ma un giorno, un lancio più forte del solito, arrivato dall’altra parte, fece andare la palla di cuoio più lontano, sul lato destro del muro, ora diventato sempre meno freddo per Jusuf.
Lui si lanciò di corsa per andare a riprenderla e chinandosi notò una piccola fessura nel cemento.
In un attimo quella curiosità nascosta da sempre si fece spazio nel grembo di Jusuf e la voglia di sapere chi fosse il suo piccolo amico si fece fortissima.
Jusuf prese la palla lanciandola oltre la muraglia, poi si avvicinò con cautela,
curiosità e timore nello stesso tempo al ruvido muro.
Avvicinò l’occhio alla piccola spaccatura e sbirciò oltre quella fessura.
La pupilla per un attimo rimase incollata al cemento, il cuore cominciò a battergli forte e un tremolio insistente gli attanagliò le gambe.
Rimase di sasso, non credeva ai suoi occhi.
Davanti a lui un uomo in divisa da combattimento con un distintivo delle Forze Armate Israeliane teneva in mano quel pallone di cuoio, pronto a rilanciarlo dalla parte di Jusuf, mentre un raggio di sole, che si era fatto spazio tra le nuvole, risplendeva sulla canna di un grosso fucile che il soldato teneva sulla spalla.
Jusuf non sapeva che fare. Stava giocando da molti giorni con un nemico e non con un compagno di giochi, come si era sempre immaginato. Avrebbe voluto scappare via di corsa, ma quella palla era troppo allettante per buttare tutto al vento.
Pensò che in fin dei conti fino a quando non aveva conosciuto il suo amico
palleggiatore si era divertito, sentendosi felice.
Tutti gli avevano sempre ripetuto che oltre quel muro ci sono i nemici e che sono persone cattive, e vanno sempre evitati: ma perchè un freddo muro poteva decidere chi era il nemico e chi era l’amico?
In quei momenti il piccolo scolaro si fece mille domande cercando mille risposte, poi si chinò per riprendere la palla appena tornata sul proprio campo, l’afferrò con forza e la lanciò oltre quella barriera di cemento, restando in attesa di vederla ritornare.
Fu contentissimo quando la vide arrivare di nuovo dalla propria parte, e pensò che un muro non poteva riuscire a soffocare quello che di buono c’è dentro un essere umano.
Jusuf prese la palla in mano, fissò quella barriera così alta pensando che chiunque ci fosse stato dall’altra parte e gli rimandava la palla era un suo compagno di giochi, e questa era la cosa più importante per lui.
Ripose la vecchia palla di cuoio con cura nel suo solito nascondiglio notturno e se ne tornò felice a casa senza dire nulla a nessuno, in attesa di tornare domani, finita la scuola, a rilanciarla oltre quel muro a quel suo sconosciuto amico.