Orologi inghiottiti
– di Roberto Vacca.
Peter Pan con la sua spada aveva tagliato un avambraccio del giovane capitano James e lo aveva gettato a un grosso coccodrillo che se lo era mangiato avidamente. James si attaccò al braccio una rozza protesi e da allora fu chiamato “Capitano Uncino”. Il rettile era salito a bordo della nave di James e aveva inghiottito anche una sveglia che continuò a ticchettare per anni. Per questo veniva chiamato Tick-Tock (in italiano Tic-tac) e perseguitò a lungo James mirando a mangiare altri pezzi del suo corpo. Non ebbe successo perché il suono del grosso orologio dalla sua pancia era un segnale di pericolo e la sua eventuale vittima fuggiva in tempo.
Da oltre cent’anni questa di Barrie è la storia più nota in cui qualcuno inghiotte un orologio. Le cronache polacche dei giorni scorsi, però, riferiscono di un ladro trentanovenne, Darius Piotrowski, scoperto a rubare in una casa. Era scappato, inseguito da alcuni poliziotti, ed è stato catturato in un boschetto ove si era nascosto. Alla stazione di polizia, aveva cominciato ad accusare forti dolori di stomaco. Gli hanno fatto una radiografia e hanno visto che aveva inghiottito sei orologi, un accendisigaro d’oro, una forchetta e un cucchiaio. Al chirurgo, che l’ha operato, ha detto di avere una vecchia abitudine di ingerire oggetti di ogni tipo.
Sono più usuali le similitudini in cui sono gli orologi che divorano il tempo. Questi versi della poetessa colombiana nota con lo pseudonimo di Felina, dicono:
Los relojes se han tragado el tiempo
Los pendulos dormitan con resaca
Las horas silenciosas pasan
Sin marcar la fecha en el calendario
Gli orologi hanno inghiottito il tempo
Le pendole inebriate sono assopite
Le ore silenziose passano
Senza segnare date sul calendario.
Una storia favolosa, in cui appare un grande orologio che viene ingollato dalla terra, fu scritta alla metà del XVI secolo da Barthelemy Aneau, letterato ucciso da una folla di cattolici a Lyon nel 1561 perché sospettato di essere protestante. È intitolata “Alector o il gallo” e cito:
“Una grande voragine era stata prodotta da un terremoto e aveva inghiottito la torre dell’orologio. L’abisso era tanto profondo che non se ne poteva intravedere la fine nemmeno con un lunghissimo filo a piombo. Allora tagliarono la testa di Desaletès e gettarono il suo corpo in quel buco. La testa recisa rimbalzò in alto tre volte [come quella nella leggenda di Paolo di Tarso, che fece sgorgare le Tre Fontane sulla via Ostiense, e nei pressi fu costruita la Basilica di San Paolo]. La cartilagine delle orecchie di Desaletès si distese formando punte acute che diventarono ali senza piume come quelle di un pipistrello, e la fecero volare in alto fin quando si perse di vista.”
Forse Goya aveva letto questo romanzo e ne aveva tratto ispirazione per una sua incisione di un vecchio che scrive in un librone e ha ali di pipistrello per orecchie. Le fantasie riecheggiano attraverso i secoli e ritroviamo una connessione fra il nome del libro di Aneau e – le sveglie.
Alector – o Alectruon – in greco significava “gallo”. L’ottavo canto dell’Odissea racconta la storia del giovinetto Alectruon. Il dio Ares lo aveva incaricato di fare la guardia mentre lui in segreto faceva l’amore con Afrodite, proprio nel letto del marito di lei, Efesto – il dio fabbro.
Incidentalmente, Ares, Afrodite ed Efesto erano tutti e tre figli di Zeus I greci non ritenevano disdicevoli i rapporti sessuali tra fratelli. L’incesto era accettabile, ma l’esclusività del rapporto si sarebbe dovuta rispettare.
In ogni caso, Alectruon si addormentò e non avvisò Ares dell’arrivo di Elios, il sole, che sorprese sul fatto la coppia adultera e raccontò tutto a Efesto. Ares, adirato, trasformò Alectruon in un galletto, condannato a svegliare tutti con il suo canto ogni mattina all’alba.
Il canto del gallo viene citato spesso per scandire eventi drammatici. “Prima che il gallo conti due volte, mi avrai rinnegato tre volte” (Vangelo di Marco, XIV, 30).
Come potevamo aspettarci, è possibile farsi svegliare on line con un gentile canto del gallo. È un servizio che piacerà a pochi vetero-ecologisti. Sarà aborrito da chi soffre di alectorofobia: l’ansia estrema causata dalla paura del contatto con polli e galline. È una condizione antica e non pare che sia connessa col timore di contrarre l’influenza aviaria.