Ottanta passi_Angelo Guida, Matera
_Racconto finalista ventesima edizione Premio Energheia 2014.
L’esortazione di Fabrizio la metabolizzo con buoni 20 secondi di ritardo…, credo.
“Io vado a fare colazione, che fai?” insiste.
“Aspettami non vedi che sto dormendo” rispondo “e … che tempo fa?”
“Dai è mezzogiorno, muoviti!”, sollecita Fab
In cinque minuti siamo fuori di casa. Urbino si presenta male questo 29 febbraio: fa freddo, qualche squarcio di azzurro fa brillare ai bordi delle strade la neve, che continua a resistere flirtando con una temperatura intorno ai 6 gradi. Il palazzo ducale è ancora lì come il nostro bar ad ottanta passi da noi. Ottanta passi dal quel cappuccino che ti dirà chi sei, specchio di quel momento … unico.
“Ciao Franca, buongiorno” dico mentre entriamo.
La barista sfoderando un sorriso ammiccante e ignorandomi si rivolge a Fabrizio: “ciao come stai?”
Come sempre godo di questa situazione, rimanere anonimo appena sveglio, sfruttando il vantaggio che mi offre il sex appeal di Fab, mi mette di buon umore e, soprattutto, mi consente di improvvisare qualche battuta, primo vero esercizio mentale della giornata, nei confronti del mio amico.
“Hai visto Fab? Gli si sono gonfiate le tette appena ti ha visto”, gli sussurro mentre ci avviciniamo al banco.
“Fanculo” mi risponde senza esitare.
Franca sa già che i due cappuccini devono essere bollenti e inizia a prepararli mentre due cornetti alla marmellata come per magia prendono dimensione tra le nostre mani.
Comportamenti meccanici li chiamano. Situazioni che si ripetono, che richiedono esercizi senza l’espressione di alcun giudizio. Lo fai, fa parte della tua condizione attuale, è impossibile scardinare certe abitudini è troppo faticoso. I nostri cornetti ne sono l’emblema, così come il lento dirigersi di Fabrizio verso il tavolo dove il Resto del Carlino aspetta di essere sfogliato.
Mi trattengo, come tutti i giorni, vicino al bancone e cavalcando il vantaggio che Franca mi offre esco dall’anonimato : “Ieri Fabrizio mi parlava di te, si chiedeva quale è il tuo film preferito”.
Improvvisamente la ragazza si accorge della mia presenza e con sorpresa mi chiede “Davvero Rudy?”.
“Certo! Non è così Fab?” gli chiedo mentre mi dà le spalle con il capo chino verso il quotidiano, la tazza appoggiata sul giornale e il cornetto nella mano sinistra.
“E’ vero Fabrizio?” chiede Franca con il tono di chi non accetterebbe una risposta diversa da quella che i suoi umori di ventenne aspettano.
Comportamenti Meccanici.
Un giornale può essere letto in diversi modi. Dipende dal giornale, dal luogo, dall’ora, dalla situazione. La mattina del 29 febbraio 1984 Il Resto del Carlino andava letto partendo dall’ultima pagina e il tempo della sommaria lettura si sarebbe consumato insieme al cappuccino appoggiato sul tavolo.
Le ultime due pagine sono dedicate allo sport. Andando a ritroso ci sono le pagine dello spettacolo, la cronaca, la politica.
“Dai Fab rispondi a Franca” sghignazzo dal bancone mentre mi ustiono il palato.
La postura di Fabrizio, con il capo chino verso il quotidiano, il suo immobilismo e, soprattutto il cornetto neanche morso distorcono la meccanicità di quella colazione. C’è una elaborazione in quella postura , c’è un giudizio, ci potrebbero essere delle emozioni, dei sentimenti.
“Fab che stai leggendo?” gli chiedo. Adesso è la barista che precipita nell’anonimato .
Fabrizio non risponde, non si muove, il cornetto è ancora lì nella sua mano sinistra praticamente intatto come il cappuccino, insolitamente sul giornale e non sul tavolo. Mi avvicino a Fabrizio. Cerco di intercettare la traiettoria del suo sguardo e, quindi, cosa può aver attratto la sua attenzione. Basta poco: <<Ieri al PalaDome di Milano disordini al concerto dei Clash. Alcuni dei settemila spettatori, giunti da tutta Italia per ascoltare il gruppo inglese, sono stati protagonisti di scontri con la Polizia durante il concerto. Diversi feriti sono stati accompagnati presso le strutture sanitarie milanesi. Fortunatamente nessuno di loro è in gravi condizioni. La questura ha rilasciato un comunicato con il quale esprime forti preoccupazioni per la seconda data del concerto prevista per oggi 29 febbraio…>>.
Rileggo con avidità la notizia almeno altre tre volte, la mia postura è anomala frutto di una silenziosa e intima elaborazione. Perdo tutto il vantaggio accumulato su Fab, lui ha già elaborato, può finire tranquillamente il suo cappuccino. Anche il mio, adesso, è appoggiato insolitamente sul giornale non sul tavolo.
Guardo l’orologio del bar, sono le 12,30. L’unico riferimento in quel momento è Fabrizio il mio amico di sempre. Due anni più grande di me, 18 anni vissuti pericolosamente insieme alla ricerca di emozioni da condividere. 18 anni che hanno contribuito ad eliminare parole, spiegazioni, discussioni; come se una amicizia possa essere capitalizzata attraverso un lento ed inesorabile processo che determina una “economia “ di relazione. Anche lo “sguardo” non serve, è superato tra due amici.
Una veloce e meccanica ricognizione della nostra dotazione: soldi, documenti, giubbotto di jeans imbottito, le Jabbar ai piedi. Non ho bisogno di ricordare a Fabrizio che meno di 12 ore fa avevo spuntato, per questa sera, un incontro con Flavia e Marisa con cui avremmo giocato, come nei playground di Basket dell’Università, un uno contro uno senza esclusioni di colpi. Questa è una partita che possiamo rinviare … se ne avremo ancora l’occasione.
Lo sforzo di Franca di riemergere dall’anonimato si infrange nelle 1800 lire posate sul bancone da Fabrizio. Dobbiamo andare.
Urbino si presenta bene questa mattina del 29 febbraio, il grigio recuperato dal mattonato della Piazza fa presagire che il brutto tempo sia passato. Vedo il Palazzo Ducale circondato da studenti e turisti lanciare la sfida , non rinviabile, quella di domani a colazione!
Comportamenti meccanici.
Fuori le mura, direzione est per l’autostrada A14, abbiamo bisogno di un casello, il pollice si contrae da solo. Prima il mio poi quello di Fab.
Ed eccola lì nei tempi previsti, forse con un po’ di anticipo, che ci supera e si ferma a venti metri davanti a noi. Aumentiamo l’andatura e raggiungiamo una Renault 5 verde, targa AP, con due ragazze, sicuramente studentesse, a bordo.
“Noi andiamo a Rimini e voi”. Chiede la ragazza alla guida sfoggiando un sorriso insidioso mentre noto la bionda che gli sta accanto spostare il collo verso lo specchietto laterale.
Quando hai vissuto tanti anni in giro per le strade cercando di godere della tua forza, della tua resistenza, della tua curiosità e delle tue emozioni non hai bisogno di pensare, riflettere. Gli errori commessi sono tatuati nella tua memoria e sostengono i tuoi istinti, le tue debolezze. Se poi gran parte di quegli errori li hai condivisi con il tuo amico, allora niente ti può impedire di cercarne altri.
Io e Fab conosciamo l’A14 come le nostre tasche. Sappiamo cosa c’è scritto in ogni singolo casello da Bologna a Taranto e in buona parte dei caselli da Milano a Bologna. Come una sorta di “fermo posta” troviamo e lasciamo messaggi rivolti a compagni mai visti ma così intimamente vicini in quello spazio rappresentato dall’autostrada. Il casello rappresenta l’obiettivo da programmare, il traguardo intermedio che ti consente di trasferire la tua fisicità in una situazione protetta, dove sei in grado di scegliere, di ritrattare, di fingere, di sfruttare. Entrato in autostrada ti senti invulnerabile, gli errori commessi in passato ti consentono di gestire le rotte dei tuoi viaggi a piacimento. Ogni viaggio è la costruzione di una storia dove inventi il protagonista e lo adatti al pubblico che hai di fronte. Un pubblico che cerchi di selezionare sulla base delle tue esigenze di tempo, di umore. Un pubblico che ti riserva poche sorprese, perché ormai è difficile sorprendersi, ma a cui puoi dedicare qualcosa che possa gratificare la gentilezza dimostrata attraverso “il passaggio” che si sta offrendo.
“Rimini,… per noi va bene” rispondo.
“Rimini Sud o Nord?” chiede Fab richiamando alla propria memoria le differenze tra i due caselli e la diversa capacità contrattuale che dobbiamo governare appena arrivati.
“Oggi è giovedi Fab, sono le 12,30. Non fa differenza” aggiungo. Sapevo benissimo che anche il casello di Rimini Nord, in quel giorno e a quell’ora, rappresentava una opportunità per via delle fabbriche che gravitano intorno a quel tratto di autostrada. Lo sapeva anche Fab.
“Andiamo dove vuoi tu Fabrizio” risponde la ragazza alla guida.
Sentendo pronunciare il nome di Fabrizio rimango disorientato giusto il tempo di vedere la ragazza seduta al fianco della guidatrice scendere, aprire la portiera posteriore ed entrare dentro la macchina e quella merda del mio amico senza nulla dire accomodarsi al fianco della guidatrice.
Lo sapeva anche Fab.
I collegamenti nervosi di Fab sono più efficaci dei miei, questa mattina del 29 febbraio, aveva fatto la domanda giusta ed aveva ottenuto la risposta attesa.
“Fabrizio e Rudy, sempre insieme voi. Dove avete lasciato le vostre belle? Mi hanno detto che hai una storia con Carla quella di Farmacia … vero Rudy?” mi chiede la ragazza alla mia sinistra mentre la Renault 5 è sorprendentemente già a una buona velocità.
Vedo Fab davanti a me parlare con la guidatrice come se si conoscessero da anni. Mi chiedevo se i 43 km che avremmo percorso fossero sufficienti per tenere distante la mano di Fab dalle cosce dell’anonima conducente, come anonima era la mia compagna di sedile.
Non so cosa rispondere preso dall’inquietitudine di aver di fronte qualcuno che ci conosce e sa tante cose di noi, ma soprattutto preso dall’angoscia di non sapere chi fosse Carla …quella di Farmacia. Quest’ultima circostanza non esclude affatto che una Carla sia effettivamente transitata dalle parti di via del Grifone 8, appartamento a piano terra, seconda stanza sulla sinistra.
Domanda n°2: “dove andate?” mi chiede. Non faccio in tempo ad organizzare una risposta quando Fab interviene: “stiamo andando a Modena a trovare un nostro amico. Ci fermiamo il pomeriggio e torniamo questa sera”. Ha sicuramente un piano, pensai.
La ragazza alla guida inserendo una cassetta nello stereo ci chiede: “venite con noi a Rimini? ci stanno raggiungendo altri amici da Bologna per andare questa sera al Pascià”. Mentre formula la proposta vedo malinconicamente la mano di Fab appoggiarsi per poi insinuarsi tra le gambe della guidatrice che ha una contrazione … di piacere.
<<la bellezza di ogni viaggio è racchiusa nell’unicità che quel viaggio riserva…>>
Dobbiamo canalizzare i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre scelte. Non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo non possiamo farci aggredire dalle tentazioni. Abbiamo percorso solo una ventina di chilometri, abbiamo ancora il gusto amaro del cappuccino in bocca, quando il profumo delle due anonime studentesse stava prendendo il sopravvento.
La motivazione di Fab non aveva bisogno del sostegno della mano della guidatrice che, raggiungendo quella del mio amico, lo aiutava a codificare indirizzi più precisi tra i jeans scoloriti. Rimani solo, uno contro uno. Il tuo compagno di squadra sta facendo il suo.
Comportamenti meccanici.
Le mie labbra sono a contatto con quelle della mia compagna di viaggio mentre cerco di esplorare le sue forme con le mani e sentire la tonicità del suo corpo. Il momentaneo silenzio tra i passeggeri fa emergere diffusamente il suono proveniente dall’autoradio alimentato dalla cassetta inserita qualche minuto prima.
Un compagno di squadra sa quando bisogna alzare la difesa, proteggere il canestro, sfidare al tiro e raddoppiare. Sa quando portare il blocco e passare la palla. Consuma il suo sapere in attimi <<no look>>, senza guardarsi, senza parlarsi.
Mi accorgo che la musica che sta deliziando quei momenti è quella dei Spandau Ballet. Mi contraggo, cerco Fab con lo sguardo. Anche lui sta realizzando … <<no look>>, sappiamo perché siamo in viaggio.
“Rimini sud va bene per noi” dice Fab recapitando nuovamente le sue dita all’interno del Jeans ormai semiaperto.
Dopo dieci minuti al casello di Rimini Sud salutiamo le due ragazze senza neanche avergli chiesto il nome.
“La mia la chiamerò Carla. La tua?” chiesi a Fab. Non rispose, il casello di Rimini era meravigliosamente trafficato. Potevamo scegliere!
Rimanere attaccato al casello per farsi vedere, per farsi sentire dall’autista obbligato ad abbassare il finestrino per ritirare il tagliando è un esercizio poetico. Devi realizzare tutto in pochi attimi. La macchina, il conducente, i ruoli che possono essere giocati, il punto di arrivo.
Rimini sposta in alto le ambizioni di chiunque. Luogo frequentato da una molteplicità di automobilisti che ti consentono di temporeggiare fin quando non ritieni che la combinazione macchina/conducente/arrivo sia la migliore possibile … in quel momento. La figura che integra maggiormente le nostre aspettative è l’agente di commercio: buona macchina, discreta velocità, abbastanza silenzioso, no stop on the run, notiziari alla radio.
Fiat 131 Mirafiori Diesel, macchina abbastanza rumorosa ma comoda e veloce. “Andiamo verso Bologna, siamo due studenti cerchiamo un passaggio” come il ritornello di una canzone, approccio il mio interlocutore che sta ritirando il tagliando.
I nostri sguardi, al solito, si incrociano. Sappiamo bene che è in quell’incrocio che l’autista consuma la sua decisione: “Ok montate su, vado a Bologna” ci dice.
Faccia comune a tante altre. Solo i baffi , il posacenere pieno di mozziconi, due bottiglie di plastica di acqua vuote ondeggianti sul tappetino e un accento vagamente leccese tracciano un minimo di identità dell’autista. La radio sintonizzata sui canali della Rai dissolvono gli ultimi dubbi: è il passaggio giusto, poche parole, nessuna sosta e Bologna San Lazzaro con i suoi caselli all’orizzonte.
<<Il presidente del Consiglio Craxi oggi alla Camera presenterà il suo disegno di legge sulla riforma della scala mobile. Il segretario della DC nella conferenza che anticipa la seduta parlamentare conferma il proprio sostegno al governo e invita i sindacati a fare la loro parte>>. Cerco di intercettare l’effetto della notizia sul nostro autista che non mostra nessun segno di interesse. Fab è seduto dietro di me, non ho bisogno di girarmi per sapere che sta dormendo. Dal finestrino osservo il cielo chiedendomi che tempo farà a nord, a Milano, come se le condizioni meteo possano influenzare le nostre scelte.
<<Esteri. La competizione per le primarie del Partito Democratico negli Stati Uniti, per scegliere lo sfidante del presidente Reagan, sarà tra Walter Mondale ed il reverendo Jackson, primo afroamericano che si candida per la sfida elettorale presidenziale. Il senatore del Minnesota parte nettamente in vantaggio sul reverendo che fa affidamento sulla sensibilità della popolazione di colore per recuperare sull’avversario. Intanto il Washington Post in prima pagina riporta la clamorosa notizia circa la minaccia di boicottaggio delle prossime Olimpiadi da parte dell’Unione Sovietica e i suoi alleati …>>. La notizia rimbalza sull’espressione del nostro autista come potrebbe fare una “palla magica” gettata su scale a chiocciola.
Rimini – Bologna San Lazzaro è un attimo. Senza dirci praticamente niente ci ritroviamo sotto la meravigliosa barriera del capoluogo emiliano motivati per l’ultima tappa.
Sappiamo bene che quello è il punto di raccordo più importante d’Italia. Bologna è il sasso lanciato nello stagno le cui onde si espandono in tutte le direzioni. Tu devi scegliere la tua onda. Nessun passaggio intermedio, questo ci suggeriscono i nostri errori, la nostra memoria. Adesso la ricerca deve essere canalizzata, indirizzata e finalizzata: solo Milano.
Non abbiamo orologi da guardare, potrebbero essere le 15,30, poco più… possiamo temporeggiare.
Appoggiati ai due caselli, difendendo a “zona” l’area, sfruttando le lunghe rampe che conducono alle barriere, cerchiamo di anticipare le scelte che gli autisti faranno dettate per lo più dalle code che, come una fisarmonica, aumentano e diminuiscono nelle 5 corsie che conducono ai caselli.
“Volete un passaggio ragazzi? Vado a Milano.” Stempiato, faccia pulita con un maglioncino marrone che si intona con gli occhiali spessi tradendo una evidente miopia. La domanda proviene da una Renault 5 che non avevo “marcato”.
Non hai molto tempo per decidere, le associazioni devono essere immediate e lasciare pochi margini di errore. L’individuo che ci offre il passaggio ha bisogno di una storia o semplicemente vuole raccontarla e noi, secondo lui, abbiamo la faccia giusta per sentirla.
Da tempo diffidiamo di chi ci offre un passaggio senza la nostra preventiva richiesta. Conosciamo le dinamiche che il più delle volte induce un automobilista ad offrire spontaneamente un passaggio. Sappiamo benissimo quali potrebbero essere le conseguenze per la qualità del nostro viaggio in caso di accettazione: discussioni, richieste di pareri, disperazione e, soprattutto, la macchina che progressivamente rallenta il suo percorso perché il rapporto terapeutico tra automobilista e passeggero giova al punto di voler deliberatamente prolungare il tempo del viaggio. Il tutto con il Fab che beatamente dorme lasciando a me il compito di inventare le nostre vite.
No look.
“No grazie, andiamo verso Firenze”, risponde Fab con la mimica di chi in maniera sadica vuole far sapere all’interlocutore quale meravigliosa terapia si sta perdendo.
Trovarsi a Bologna San Lazzaro a quell’ora a cercare un passaggio è come per un predatore assistere dietro ad un cespuglio la migrazione stagionale di agili cerbiatti. Occorre aspettare il momento buono, e sai che prima o poi quel momento arriva.
Una Lancia sportiva si avvicina lentamente nella zona presidiata da me, scorgo Fab e la silenziosa telepatica incitazione a provarci. Lui dovrà occuparsi di difendere uno contro quattro, mentre io devo concentrarmi sulla Lancia che sta arrivando. Eccola è lì a due passi, il finestrino si abbassa lentamente mentre il braccio sinistro dell’autista si allunga per ritirare il tagliando. Le mie associazioni nervose sono immediate pronte a manifestarsi con la richiesta che sto per fare quando sento, ad alto volume, giungere dall’abitacolo <<Felicità, è un bicchiere di vino con il panino è la Felicità…>>. Incrociamo gli sguardi, sono momenti tesi. La voce di Albano è come un crossover che ti sbilancia, ti fa perdere l’orientamento, sto lasciando il canestro indifeso e il mio amico non lo sa. In meno di un secondo il volume si attenua e il buzzurro mi chiede “che vuoi un passaggio?”. Ok per il canestro subìto, ma la partita non la voglio perdere. “No grazie” gli dico. Rialza il volume <<…Senti nell’aria c’è già la nostra canzone d’amore che va come un pensiero che sa di felicità…>> la macchina riparte velocemente. Incrocio lo sguardo di Fab, “va a Firenze” gli dico. Può bastare.
La percezione del tempo che passa quando cerchi ed aspetti un passaggio è diversa a seconda del luogo dove ti trovi. Cercare un passaggio a Bologna San Lazzaro è elettrizzante, il numero delle macchine che transitano, i volti che vedi, le richieste che fai e le risposte ricevute fanno scorrere il tempo velocemente, non hai pause, non cerchi pause. Sai perfettamente che quello che cerchi arriverà non devi mancare il colpo perché è quello decisivo.
La luce del giorno ci segnala che siamo prossimi alle 16 o giù di lì e le nostre ombre iniziano a prendere dimensione per effetto delle luci artificiali del casello. Non avvertiamo freddo, continue contrazioni dei nostri corpi impediscono che la fredda e umida temperatura emiliana possa dare fastidio, il resto lo fanno le nostre Jabbar ai piedi.
La vedo prima io o forse no. Con l’abilità di Villneuve una macchina esce dalla coda in terza corsia per spostarsi verso la prima. La seguo con la vista a distanza… “cazzo una Saab, … un solo passeggero” penso. E’ la zona che presidia Fab, tocca a lui. Una Golf davanti alla Saab ne rallenta il passaggio. Mollo la difesa aspetto segnali che nel giro di qualche attimo Fab mi lancia senza neanche chiamarmi. In meno di dieci secondi sono seduto sul sedile posteriore della Saab direzione Milano.
Giacca appoggiata sul tappetino che divide l’abitacolo con il portabagagli, testi di diritto sparsi sul sedile, la Stravaganza di Vivaldi che accarezza i nostri sensi tradiscono un profilo da professionista, avvocato… forse.
“Studenti e giocatori di Basket vero?”ci chiede.
Immediatamente capisco, e con me Fab, che non conviene inventare storie, ma l’attenta deduzione del nostro compagno di viaggio stimola anche le mie deduzioni.
“si, studenti e giocatori di Basket e Lei? … avvocato o notaio?” gli chiedo.
“cosa ti fa presumere che io possa essere un avvocato o notaio, i libri di diritto sul sedile?” mi chiede con il tono di chi è pronto a rilevare l’errore che ho appena commesso. Sappiamo io e Fab che se dobbiamo subire un canestro è meglio fare fallo e obbligare l’avversario ad andare in lunetta per i tiri liberi: “normalmente la Stravaganza concilia elaborazioni giuridiche durante un viaggio” bleffo con una conclusione priva di senso.
Avverto un senso di sorpresa da parte del nostro autista confermata da un deciso aumento della velocità.
Il nostro interlocutore ci guarda divertito, l’affare lo abbiamo fatto in tre. Senza aggiungere null’altro alla nostra discussione toglie la cassetta di Vivaldi per sostituirla con un’altra. Dopo qualche secondo RadioGaGa dei Queen dominerà ogni tentativo di discussione. Milano è alle porte.
Guardo l’orologio dell’auto prima di scendere vicino alla stazione della metropolitana di Lorenteggio, sono le 18,40 abbiamo circa due ore per raggiungere il PalaDome.
Non facciamo in tempo a chiederci quale direzione prendere che scorgiamo un gruppo di ragazzi con capigliatura punk dirigersi verso la fermata del Bus. Sappiamo che dobbiamo seguirli. Milano, questo 29 febbraio fa schifo, grigia e triste come le persone che si intravedono dal finestrino del bus N63
L’ingresso del PalaDome è presidiato da camionette di Polizia e Carabinieri. Giovani coloratissimi si aggirano stancamente con bottiglie in mano intorno all’impianto mentre Fab inizia la ricerca dei biglietti per il concerto.
“Rudy” mi chiama. Mi avvicino a lui e vedo che sta concludendo, con un ragazzo di Napoli, l’acquisto dei biglietti.
“Vuole 35.000 lire per i biglietti” mi dice.
“40.000 uagliò” corregge il ragazzo.
“ok… ecco le 35.000” rispondo tirando fuori i soldi mentre Fab alza il livello di attenzione su quello che ci circonda. Nessuna discussione, sono le 20,30 abbiamo i biglietti entriamo.
Nel corridoio che conduce all’impianto consumiamo la ricognizione e la messa in sicurezza dei soldi, documenti, delle chiavi di casa. Il giubbotto di jeans viene legato intorno alla vita. In silenzio ci avviamo verso il grande spazio che ospiterà i 7/8000 spettatori previsti. Vedere Fab che mi precede verso l’arena è una sensazione che mi rimanda alle grandi sfide di basket che abbiamo affrontato. Il suo metro e novanta mi nasconde, la mia ferocia lo protegge.
L’impatto con il PalaDome ci disorienta. Una imprevedibile quanto insolita tranquillità del pubblico presente ci mette a disagio. Le notizie apparse sul giornale e le macerie del giorno prima devono aver modificato l’atteggiamento, i comportamenti … fino ad ora.
Sulla nostra destra un folto gruppo di Punk coloratissimi bivaccano seduti per terra bevendo da bottiglie di plastica liquidi non identificati; in alto sulla sinistra schierati come soldatini diversi skinheads, sembrano tenere sotto controllo tutto lo spazio. Incrocio lo sguardo di uno di essi. Davanti, verso il palco, anime vaganti si aggirano in piccoli gruppi cercando di presidiare gli spazi a disposizione.
“Vado a prendere due birre” dice Fab rompendo il silenzio.
Sappiamo bene che non basta essere più forti per vincere una partita. Sappiamo bene che una partita la vinci se sei pronto e disposto a riconoscere la forza del tuo avversario. Il tuo avversario va osservato, studiato, analizzato, e, infine, annusato. Ed è proprio mentre lo annusi che devi sentire i suoi gomiti, le sue spalle e la cattiveria che lo nutre. Non ci sono sconti: una squadra vince l’altra perde.
Non troviamo ostacoli verso il palco, tutto sembra troppo semplice. L’avversario va osservato. Gruppi di ragazzi che troviamo collassati per terra rinunciano immediatamente a resisterci mentre avanziamo, la faccia e le dimensioni di Fab scoraggiano ogni timido tentativo di protesta: L’avversario va studiato. La schiuma della birra ondeggia nel bicchiere di plastica mentre superiamo un cordone di giovani Punk che dovevano essere lì da molto tempo in ragione dei rifiuti accumulati che ne fanno da contorno. L’avversario va analizzato. La marcia trionfale che contrassegna il nostro approccio al palco ci insospettisce. Iniziamo a guardarci intorno, la visione d’insieme dell’arena è la stessa che ci è stata proposta appena entrati, cambia la prospettiva. Abbiamo sotto controllo la situazione… credo. Fab inizia con discrezione a fare stretching, lo imito.
Le luci senza alcun preavviso si spengono. L’adrenalina sale, i muscoli si contraggono, il calore della tensione lo avverti nel momento stesso in cui lo speaker inizia ad urlare in inglese, le uniche parole che riconosco sono <<The Clash!>>.
I concerti visti insieme sono emozioni uniche, le cerchi, le insegui, le inietti nelle tue vene. Non puoi distanziarti da loro, non puoi evitarle.
L’avversario va annusato. <<London calling to the faraway towns Now war is declared, and battle come down…>>. Una valanga umana si schianta su di noi, una forza innaturale tenta di dividerci, di sollevarci da terra e portarci chissà dove. No look. Non devi essere necessariamente il più forte devi essere semplicemente pronto. Alziamo i gomiti, occupiamo gli spazi manteniamo un contatto fisico il resto lo fa Joe Strummer. Alla fine di London Calling, nonostante qualche canestro subìto sappiamo che vinceremo una delle più belle partite giocate insieme. Il concerto ci trascina esattamente dove volevamo andare e come volevamo andare.
“Che ora è Rudy” mi chiede Fab all’uscita del concerto.
Spio sul polso di chi mi sta di fronte: “siamo a mezzanotte circa” rispondo.
Comportamenti meccanici.
La direzione che prendiamo è quella verso i parcheggi, l’obiettivo è sempre lo stesso: dobbiamo arrivare a Bologna Borgo Panigale, direzione sud. Questa volta siamo sazi di emozioni.
Navighiamo nel buio dei parcheggi illuminati dai fari delle auto, che si stanno accendendo, cercando un passaggio.
“Dove andate ragazzi?” ci chiede un ragazzo dal finestrino del suo furgoncino Volkswagen.
“Bologna” risponde Fab. “Ok io vado a Imola, salite su da dietro” ci invita sorridendo il guidatore.
Incrociamo i nostri pensieri, sappiamo che il furgoncino è lento, ma sappiamo che le dimensioni del Van sono l’ideale per una sana dormita.
La leva del portellone è difettosa ma non faccio in tempo a chiedere una mano al conducente quando all’improvviso dall’interno qualcuno ha percepito la nostra difficoltà e lo apre.
Un insolito spettacolo si presenta davanti ai nostri occhi. Lo spazio era già occupato da quattro ragazzi, tre donne e un maschio. Birre in barattolo posizionate verticalmente in un frigo improvvisato, fumo diffuso e odore di sudore ma, soprattutto, tre ragazze straordinariamente belle … che si agitavano ritmicamente sotto le note di Roadhouse Blues dei Doors.
“Ciao io sono Ciri, lei è Valeria, Raffa e Massimo” ci dice quella che sembra chiaramente la più sfacciata.
“Ciao Rudy e lui è Fabrizio” rispondo.
“Dove andate?” ci chiede la mora con accento romagnolo e una lucertola tatuata sul seno appena coperto da una canottiera.
“Arriviamo con voi fino a Bologna” replica Fab con uno sguardo che conosco bene e che lascia presagire l’impossibilità di evitare situazioni intimamente promiscue.
E’ notte profonda, il Van prosegue a velocità di crociera, ai Doors subentra Neil Young e questo non mi lascia indifferente. Sotto le note di “Like an Hurricane” osservo Fab che rompe gli indugi, meccanicamente. Nessun imbarazzo, la mora tatuata, Valeria credo, è seduta sulle sue gambe mentre viene voracemente esplorata dalle mani del mio amico. Il resto del gruppo appare divertito, e questa circostanza aumenta l’esplosione di pulsioni tra i due.
Il Van rallenta, si ferma. Il nostro conducente ci dice che siamo a Borgo Panigale ci chiede se vogliamo proseguire fino ad Imola. Decido io, Fab è troppo impegnato a regalare promesse che non potrà mantenere alla sua nuova amica. Si scende, salutiamo tutti sotto le note di Rino Gaetano e la sua <<il cielo è sempre più blu>>.
Borgo Panigale, ore 3,45/4. Il cielo è nero, l’impatto con il freddo è terribile. Il caldo immagazzinato nel furgoncino non potrà sostenerci per molto, lo sappiamo. Dobbiamo trovare un passaggio. Nel buio della rampa, con le mani in tasca, ci incamminiamo silenziosi verso il casello illuminato, unica oasi in quel deserto di asfalto. I corpi si contraggono per via del freddo, della stanchezza, del digiuno. A poche decine di metri dalla barriera scorgiamo una figura appoggiata ad un casello. Illuminata dalla luce, la figura prende dimensione in un ragazzo completamente “fatto”, probabilmente reduce dallo stesso concerto pensiamo.
Il ragazzo vicino al casello sembrava dormisse e le poche auto in transito acceleravano spaventate alla vista dell’inquietante soggetto.
Cinque minuti di attesa, un’eternità. Il rispetto delle regole non ci propone alcun orizzonte. “Trova un passaggio Rudy” sentenzia Fab togliendosi le mani dalle tasche e dirigendosi deciso verso l’insolito occupante.
Osservo da lontano il contatto di Fab con il ragazzo, vedo il mio amico con atteggiamento “cordiale” prendere sotto il braccio il nostro concorrente e incamminarsi oltre il casello, verso l’autostrada, nel buio.
Prendo posizione, scorgo un graffito che dice”Big Butt è stato qui 24.02”. Conosciamo Big Butt, studente di filosofia con una grande barba rossa, sempre alla ricerca di nuove rotte. Cerco Fab nel buio.
Riemerge dopo qualche minuto, una eternità. Si avvicina a me, non dice niente e io non chiedo nulla.
Ed eccola lì, due luci irrompono nel buio puntando il casello, verso di noi. Una golf due persone a bordo. La luce del casello illumina i volti dei passeggeri, sulla cinquantina o poco più, non possiamo elaborare alcunché, dobbiamo fare affidamento sulle nostre facce, unico biglietto da visita a nostra disposizione.
“Cortesemente ci potete dare un passaggio? andiamo a Pesaro” dico all’autista mentre abbassa il finestrino per ritirare il tagliando.
L’autista non risponde, guarda il suo compagno di viaggio, lo guardo anche io in attesa di una risposta. Una leggera, quasi impercettibile, contrazione del viso la suggerisce, criptata, misteriosa.
“Ma che cazzo ci fate qui a quest’ora?” mi chiede il conducente. Non hai la forza di fingere o elaborare la risposta giusta come in un quiz. Il tempo a disposizione è scaduto.
“Torniamo dal concerto dei Clash a Milano” si intromette Fab.
“Non li conosco … salite su ragazzi, si parte” replica l’autista mentre il compagno libera i sedili posteriori occupati da carte.
La macchina si avvia velocemente e faccio appena in tempo a scorgere il ragazzo appoggiato sul guard rail immobile, forse dormiva.
L’autista ci dice immediatamente che possiamo dormire, se vogliamo, mentre il passeggero inserisce una cassetta. Fab si è già addormentato.
Le luci della notte in autostrada, verso Pesaro, mi ipnotizzano, pensieri vagano nella mia testa cercano improbabili vie di uscite. Il passeggero davanti a me, al fianco dell’autista, sta dormendo. Lo capisco dalla testa pelata che dondola priva di resistenze all’ondeggiare dell’auto. Transitando sotto Rimini, le luci della autostrada illuminano l’abitacolo, guardo lo specchietto retrovisore, incrocio lo sguardo dell’autista. Mi sorride, accelerando alza il volume dell’autoradio e sotto le note di “Life in Fast Line” degli Eagles arriviamo al casello di Pesaro. Scendiamo dalla macchina. Il pelato abbassa il finestrino: “in bocca al lupo ragazzi”.
“Grazie” rispondo “ma … voi che cazzo ci fate sull’autostrada a quest’ora?” gli chiedo.
Il guidatore ha appena cambiato cassetta. Alza il volume dell’autoradio, un suono familiare arriva dalle casse dello stereo e dopo un attimo le note <<This is Radio Clash from pirate satellite…>> rimbombano nel silenzio. Sorridendo spariscono nella umida nebbia.
Non abbiamo una esatta cognizione dell’ora, ma il cielo non è più nero. Adesso dobbiamo trovare un passaggio sulla strada urbana, più ostile e complicata.
Il freddo si insinua dappertutto , solo le Jabbar resistono.
Tante volte io e Fab nei playground dell’Università sappiamo quando dobbiamo mollare, quando mantenere il campo dopo sei/sette partite vinte è impossibile. Gli avversari arrivano freschi alla sfida e noi sappiamo che non possiamo abusare della nostra fisicità compromessa da ore di gomitate, spinte, salti, scatti.
Lo vediamo da lontano arrivare verso di noi, è quella la strada che dovrà percorrere. Appena si avvicina inizia a intravedersi la scritta: <<Fano-Pesaro-Urbino>>. Sappiamo quando dobbiamo mollare.
Sincronizzati alziamo il braccio, estremo tentativo per prendere un passaggio a pagamento. Il Bus si ferma.
Entriamo, paghiamo il biglietto e prendiamo posto distanti l’uno dall’altro per sfruttare più spazi.
Il tempo di vedere da lontano le luci del casello e … mi addormento.
“Dai usciamo …muoviti!”
L’esortazione di Fabrizio la metabolizzo con buoni 20 secondi di ritardo…, credo.
“Siamo rimasti solo noi, datti una mossa!” insiste Fab.
Preceduto da Fabrizio attraverso il corridoio, ormai vuoto, del bus. Scendiamo. Fa freddo ed è giorno.
Vedo il Palazzo Ducale senza alcuna cornice umana, come lo si vede nelle cartoline, uno di fronte all’altro per qualche secondo. Mi giro, Fab è nel bar, lo seguo.
Entro, non ho bisogno di salutare, è il mio momento di anonimato, mi avvicino al banco dove Fab ha già ordinato i due cappuccini. L’orologio dice che sono le 7,10. La barista, in evidente stato di confusione per l’apparizione di Fab a quell’ora candidamente sussurra “il mio film preferito? …. Flashdance è bellissimo l’hai visto?“
Vedo Il Resto del Carlino sul solito tavolo, mi dirigo verso di lui con il cornetto e la tazza.
Inizio a leggerlo a ritroso dallo sport, mentre Fab si trattiene con Franca. Pagina dello spettacolo: <<Ieri al PalaDome di Milano disordini al concerto dei Clash…>>.
Alzo la testa mi giro incrocio lo sguardo di Fab. No look. Finiamo la colazione, 1800 lire sul banco. Usciamo dal bar. Altri ottanta passi.