Pink Floyd_Quarant’anni sul lato oscuro della luna – Domenica 17 marzo 2013 ore 18.30 Birreria Mosto_Matera
_Nel marzo 1973 usciva «Dark Side of The Moon», capolavoro assoluto dei pink floyd
Non c’è nessun lato oscuro della luna/di fatto è tutta scura/L’unica cosa che la fa sembrare luminosa/è il sole
È uscito negli usa il 1 marzo 1973 per altri il 17
WE ARE ONLY ORDINARY MEN – Ecco, la saggezza antica del portinaio che chiosa l’album e in qualche modo ne contraddice il nucleo ideologico (o forse ne allarga gli orizzonti)- il lato oscuro della luna ovvero l’alienazione che è in noi diventa «siamo tutti potenzialmente matti» – è lì a dimostrare la grandezza di The Dark Side. E non basta dire che è rimasto in classifica per oltre 15 anni in America né che sia stato fonte d’ispirazione per generazioni di musicisti a venire. The Dark Sideè un manifesto della decadenza della civiltà occidentale, anticipatore di temi e verità non solo meramente sonore: gli imperativi del consumismo; il terrore della pazzia; la guerra, come disvalore assoluto; la finitezza umana di fronte all’arroganza dei poteri (we are only ordinary men).
TRIBUTO AL CAPPELLAIO MATTO -Ma Dark Side è anche un tributo dei quattro al grande iniziatore dell’avventura floydiana: the madcap, il geniale cappellaio matto Syd Barrett, corroso dalla follia, inabile al lavoro già da diversi anni in quel 1973, eppure convitato di pietra in tutto il disco. Disco che appunto, alla maniera della classica, si ascolta tutto di filato per i fatidici 42 minuti e 57 secondi. Come un’opera sinfonica, con tanto di leitmotiv ricorrente. E che non rinuncia però all’estrema modernità dell’elettronica, sintetizzatori a profusione con la regia, alle macchine, del grande Alan Parsons. Dimostrando ancor oggi una freschezza ben più giovanile dei suoi quarant’anni.
PICCO POPOLARE E SPAZIALE -Dark Side è perciò la terra di mezzo e quindi il picco dei Pink Floyd: lo sperimentalismo rivoluzionario degli swinging sixties che trova la sua sintesi popolare e spaziale. E nulla sarà più come prima nemmeno per la band, con Waters che si ammalerà di lirico gigantismo, pensando di essere lui solo, i Floyd, e perciò rompendo con tutti i compagni. Ma questa è un’altra storia. E, dunque, poiché siamo partiti dalla fine, chiudiamo con l’inizio: «Breathe breathe in the air, don’t be afraid to care», cioè «respira, respira nell’aria, non aver paura di amare». Già, con l’ouverture di Speak To Me/Breathe si apre l’album, ma potrebbe esserne anche il congedo. Perché, amare, alla fine, è quel che conta.