I racconti del Premio Energheia Europa, Premio Energheia Europa

Profeti della primavera, Katarina Švigelj

Menzione Premio energheia Slovenia 2024

Traduzione a cura di Francesca Garlatti, Università degli Studi di Trieste / KARIN MARC

I bucaneve, con il loro fragile fiore a campanellino, non mi sembrano capaci di annunciare l’arrivo della primavera: troppo silenziosi per una stagione così chiassosa. Meglio sarebbe il rumore della motosega, che si fa avanti per rimuovere i rami seccati dal gelo. Oppure i corvi che volano sopra i cimiteri e i cui gridi penetranti si odono ovunque. Se però vogliamo proprio che l’annuncio della primavera sia dato da una campana, sarebbe meglio scegliessimo un campanile che, con i suoi rintocchi, risuona per l’intero paese e chiama al commiato mentre i fiori si nascondono nei boschi scintillanti e nei prati delle case.

“Sei pronta?” una voce conosciuta interruppe la riflessione sull’inadeguatezza dei bucaneve.

“Pronta per che cosa? Per l’addio o per quei riti primitivi che guastano l’atmosfera primaverile?”.

La guardò male, come per rimproverarle: se davvero le pensi, queste cose, almeno tienile per te.

Scesero dunque dalla vecchia Cadillac, che si era fermata nel parcheggio dopo un lungo oscillare di vecchie lamiere per la strada tortuosa. Intrapresero un sentiero, pavimentato di fresco con sampietrini grigi, che conduceva alla tomba e timidamente si avvicinarono al gruppo di persone in lutto, vestite di nero. Chinò appena il capo verso di lei e rifletté: “Penso che nella vita non abbia avuto molte opportunità di lasciarsi vivere. Forse un’esistenza frenetica le infondeva vitalità e la sensazione di un costante miglioramento”.

Avrebbe voluto ribattere ironicamente alla banalità di quelle parole, ma si trattenne, avendo scorto sul viso di lui un dolore sincero. Si sentì stringere il cuore al pensiero di quanto gli amareggiasse ogni giorno la vita con le sue frasi ciniche e il suo malumore e così, con tono calmo, aggiunse: “Per arrivare alle sue mete ha sempre preferito una strada diretta, per andare il più lontano possibile indisturbata, prima che un ostacolo insuperabile la costringesse a voltarsi e tornare al punto di partenza”.

Non replicò, le indirizzò solo un piccolo sorriso che mostrava riconoscenza per quell’inaspettata partecipazione al suo dolore, poi la prese per mano e si avviò verso gli altri insieme a lei. Dopo le condoglianze e i singhiozzi, le facce, note solo di vista, si diressero verso la chiesa colme di rabbia e di lacrime come la nube di un temporale; lei, invece, volle fermarsi. Ritirò la mano dalla presa di lui e guardò a terra mortificata. “Resterò qua. Sai, non amo i muri freddi delle chiese e le immagini dolenti che mi fissano dalle pareti”. La conosceva anche troppo bene per intraprendere una battaglia persa tentando di persuaderla, perciò si limitò a guardarla amorevolmente, la baciò sulla fronte e seguì le figure sempre più piccole della comitiva che si allontanava.

Sedette su una dura lastra di granito a fianco della fossa scavata di fresco e che più tardi avrebbe avvolto, come una coperta, la bara, dimora del riposo eterno. Con la voce che viaggiava sulle frequenze di una comunicazione segreta, a malapena udibile, proferì tutte le parole senza prender fiato, addensandole in un unico messaggio, come se volesse nascondere il discorso ai morti nelle altre tombe.

“È più bello dall’altra parte?” sussurrò, volendo mascherare con una certa ironia il disagio che provava nel tentativo di parlare con coloro che già giacevano nel sepolcro. Bisbigliava con un lieve sorriso che presto fu però rimpiazzato da un’espressione di inquietudine. “Avete ricevuto quello che vi hanno promesso?” continuò seriamente, adesso in un tono già più udibile. “È vero quello che dicono? Quello sulla terra promessa?”

Quasi delusa dalla refrattarietà dei morti, fissava la massa silenziosa di sassolini che il vento rovesciava e si chiedeva se in mezzo a questi ci fosse magari qualche frammento dei cadaveri decomposti che una volta erano di carne, come lei.

A liberarla dalla prigionia dei suoi pensieri furono i capelli che, spinti da un forte soffio, cominciarono tutto a un tratto a sfiorarle gli occhi, quasi per dirigerle lo sguardo verso la porta d’ingresso della camera mortuaria, che si era spalancata con quella raffica di vento.

Si avvicinò con circospezione all’edificio, allestito come da tradizione e, trattenendo un po’ il respiro, vi entrò. Fu sommersa dalla luce che si riverberava dalla vetrata con l’immagine della resurrezione; quando gli occhi si abituarono all’intreccio dei raggi inafferrabili, si soffermò per un attimo con lo sguardo sull’iscrizione in lettere arzigogolate che decorava il muro sotto la finestra: “Egli non è qui”. Volle avvicinarsi a quelle parole dipinte e iniziò così ad avanzare accanto alle grandi ghirlande di fiori costosi e alle candele con brutti decori di plastica, avvolte nel cellophane, e silenziosamente maledisse tutto il ciarpame che copriva la semplicità della bara di legno. In questa intravvide però un sobrio mazzetto di bucaneve attorcigliati che per un momento la estasiò. Il candore dei loro capi reclinati, che si sorreggevano uno con l’altro, era immacolato. Gli steli sottili non riuscivano a sostenerli ed, emaciati, perdevano il loro colore.

In quel momento comprese come mai quei profeti non gridassero. Non erano venuti infatti per mettersi in mostra. Erano venuti perché la loro immagine annunciasse: “Non io! Io non sono qui! Qualcosa di più grande sta arrivando!