Quel comune sentire di una città capitale della cultura.
_di Daniele Poto.
Un blitz a Matera ti regala un’aura particolare quando vivi e respiri nei vicoli e nello struscio l’orgoglio locale di aver guadagnato l’etichetta di capitale europea della cultura 2019.
E se lì per un premio che di questa magica e a volte esecrata parola (“cultura”) si fa bardo e scudo non turistico. Premio non solo ma kermesse che dura tutto l’anno. In cui c’è un prima, un durante e un dopo. E se pensavi che l’ora di punta in città, secondo abitudinarie regole di provincia, si sarebbe placata nel deserto della tarda ora, ti devi ricredere perché a mezzanotte c’è più fermento di prima, il piacere di stare tutti insieme appassionatamente dentro la bellezza che è la più raffinata forma cultura. Dunque ricorderò particolarmente questa giornata (il 12 settembre 2015) e non perché ho vinto un premio ma perché ci sono stato anche io dentro quel mood e quel comune sentire, sia pure per poche ore, con la soddisfazione di aver potuto stringere la mano a Serge Latouche, insospettato presidente di giuria, assolutamente a suo agio con il calore italiano.
Quanto alla motivazione e i commenti su “Una madre disperata” (“disperata” è evidentemente ironico) apprezzabile il riconoscimento del camouflage. Fa piacere essere stato immaginato come una giovane autrice quando invece sono un navigato dilettante della scrittura e per di più uomo. La letteratura è evidentemente finzione ed è un travestimento, in questo caso decisamente teatrale. Il premio mi ha appagato e dunque ora sento che mi asterrò per alcuni mesi dalla partecipazione a altri concorsi. Il riconoscimento mi ha decisamente saziato.