Raccontare, svelare, capire in una esperienza formante a 360 gradi!
_ postfazione di Ettore Gallo_
Henry D. Thoreau scriveva a metà Ottocento, in piena Rivoluzione industriale: “Desideriamo ardentemente avvicinare il Vecchio Mondo al Nuovo di qualche settimana- ma forse la notizia che giungerà alle grandi e pendule orecchie americane, sarà che la principessa Adelaide ha la tosse asinina” . Da allora molto è cambiato e la società industriale è diventata società dei servizi, ma come ieri anche oggi i crescenti canali d’informazione rischiano di essere monopolizzati dall’informazione truccata e dal gossip di regime. Per questa ragione dare centralità al pratica giornalistica diventa un passo decisivo nel futuro dell’arte dell’informare. È proprio questo l’obiettivo che il Premio Ilaria Alpi si pone da 18 anni.
Essere arrivati a quella tre giorni grazie a un lavoro sull’Africa, inoltre, diventa un ulteriore stimolo; in giorni in cui si continuano a perpetrare falsi miti e vecchi luoghi comuni sulle realtà altre, lontane dal ricco (?) Occidente, parlare senza reticenze di Africa diventa quasi un gesto d’opposizione alle dinamiche mondiali. Gesto che diventa addirittura rivoluzionario quando la discussione verte sull’approvvigionamento idrico che continua a essere negato al Continente Nero, tanto per scarse risorse reali, quanto soprattutto per la mercificazione del bene da parte delle grandi multinazionali che in Africa speculano da decenni.
Una realtà, quella africana, legata strettamente alla storia di Ilaria Alpi, uccisa misteriosamente a Mogadiscio nel 1994 mentre indagava su un traffico di rifiuti tossici fra Italia e Somalia; una vicenda, fra l’altro, che s’intreccia strettamente con quella della nostra Regione, coinvolta in prima linea in questi traffici (basti pensare all’inchiesta del pm Basentini sulle misteriose attività all’interno del Centro ENEA-Sogin di Trisaia di Rotondella).
Raccontare, svelare, capire significa anche questo: partire dall’intransigenza di una giornalista come Ilaria Alpi per costruire la società e il giornalismo di domani. In nome di ciò si è svolta la tre giorni del Premio: un’esperienza formante a 360 gradi, che c’ha visto spalla a spalla con alcune fra le personalità più importanti del panorama giornalistico e politico nazionale, da Andrea Vianello ai conduttori di Caterpillar AM, da Diego Bianchi (in arte Zoro) fino al Ministro Fabrizio Barca, solo per citarne alcuni. Parlare con loro, in maniera anche vivace a volte, è stata una grande occasione per confrontarci con il mondo che ci circonda e con noi stessi; in particolare, per quanto mi riguarda, discutere con il Ministro Barca del futuro energetico dell’Italia e della Basilicata mi ha fatto maturare la stessa concezione che Carlo Levi descriveva in “Cristo si è fermato a Eboli”: per noi contadini di terza e quarta generazione lo Stato continua a essere “più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte.”
A prescindere dalla tre giorni del Premio, però, questo breve viaggio c’ha consentito di conoscere nuove persone, stringere nuove amicizie, creare socialità, insomma. È forse proprio questa la grande sfida nel tempo dei social network e del Web 2.5. Viale Ceccarini, le mille scuse inventate per levarsi dai piedi i PR delle varie discoteche romagnole, il rientro in camera con la vista degli anziani vacanzieri che russavano davanti la tv sono tutte piccole cose che non potranno rendere quei quattro giorni a Riccione liquidabili semplicemente con un “è stata una bella esperienza”. Il Premio Ilaria Alpi e tutto ciò che lo ha circondato rientreranno a buon diritto nel nostro bagaglio culturale, nella nostra proiezione futura di cittadini adulti che, con lo spirito dei diciassettenni e diciottenni che una volta li impersonavano, sapranno ancora come ritrovarsi sulla strada, alla conquista dei propri sogni.