Regine d’Africa
_di Elisa Kidanè_
Regine. Quale alta e altra definizione si poteva immaginare pensando alle donne d’Africa che da sempre hanno a cuore la sorte dei propri popoli? Quale altro nome si poteva scegliere per definire coloro che con incredibile determinazione vegliano sul bene dei propri figli e figlie? Regine. Sì, proprio regine. Un nome che racchiude non un ennesimo e mero elogio, ma che fa risaltare l’essenza genuina di cui sono impastate le donne d’Africa e che le contraddistingue, ne evidenzia la peculiare capacità di resistere, con l’unica speranza che i loro figli e figlie possano esistere; l’essenza che le rende uniche… oggi come ieri, come domani e come sempre, finché in palio ci sarà la sopravvivenza stessa del continente.
E vanno de donne d’Africa, con passo fermo e deciso, attraversano il continente e ogni loro gesto è fatto con grazia, con determinazione, con passione. Nonostante le fatiche, i soprusi, nonostante i diritti negati, loro vanno, maestose, fiere, nobili e leggere come avessero sul capo non pesanti fardelli, ma corone dove, al posto dei diamanti, sono incastonati i sogni di un’Africa finalmente libera.
Vanno le nostre donne. Infaticabili. Non c’è spazio che non sia abitato da loro. Non c’è luogo che non sia attraversato da loro. Ci sono e basta. Ci sono sempre e ovunque. Ci sono a vegliare l’avvento di un’alba nuova. La loro è una presenza costante, una presenza che rassicura. Una presenza che sottolinea la loro ostinata e pacifica resistenza quotidiana. Sono lì, ovunque, perché sanno che non possono abbassare la guardia, non possono delegare. Sulle strade di tutti i paesi, nei mercati di tutte le città, ai pozzi di tutti i villaggi, loro ci sono. Sempre indaffarate, anche quando sono sedute, apparentemente inerti, mani, occhi e cuore sono in costante movimento; riordinano, osservano, si prendono cura di tutto. Solo loro, madri, figlie e sorelle d’Africa, che da secoli portano sulle spalle il continente, sanno quanto pesa e quanto vale. Sono lì da sempre, come buone pastore, per prendersi cura dei propri popoli, per assicurare la vita, per impedire che gli assalti di avidi depredatori, interni ed esterni, impoveriscano e distruggano completamente l’Africa, questo continente costantemente insidiato e assediato.
Sanno che in un continente dove si combattono vita e morte, speranza e frustrazione, amarezza e resistenza, l’esserci è fondamentale. Sono presenti perché conoscono quanto fragile è il destino e precaria la sorte della culla dell’umanità, che rischia di trasformarsi nella fossa dei propri sogni e di quelli delle prossime generazioni. Ci sono sempre, perché sanno che non possono permettersi latitanze o assenze. Ci sono con determinazione, ci sono perché consce del loro insostituibile ruolo di madri d’Africa. Eppure, sugli schermi del mondo intero, troppo spesso va in onda uno stereotipo duro a morire, una brutta fotocopia delle donne d’Africa. Nell’immaginario comune le donne africane sono deboli e sottomesse alla mentalità patriarcale, rassegnate alla miseria e all’ignoranza, condannate ad un immobilismo eterno. Un clichè comodo e sbrigativo e che evita di entrare in complicati ragionamenti di un femminismo vivace e radicalmente africano. Evita di entrare nel merito della questione dei diritti di queste donne, che adagio ma con fermezza stanno davvero riscrivendo la storia africana. È più comodo semplificare, mentre è più difficile riuscire a intravvedere l’inaudito coraggio di queste donne che sanno di avere nelle mani la sorte dei loro popoli e la prerogativa di essere dimora della vita stessa. Eppure, nonostante il loro ruolo determinante nella compagine storica, economica e sociale d’Africa, un sottile e insidioso velo cerca di occultarle e occultarne la forza. È una sensazione strana, ma reale. Loro, le regine, le custodi, le generatrici di speranza e di futuro passano nella storia da invisibili.
Lionel Njuguna, l’autore dei dipinti del calendario, è figlio di queste donne. La sua vita è intrisa della loro presenza, le conosce bene e si vede. Solo chi ha vissuto accanto a loro, chi ne ha ascoltato i canti, le risate, le meste nenie, chi ha percepito i battiti dei loro cuori, solo chi è cresciuto lasciandosi impregnare da odori e sudori di questa perenne presenza, può riuscire a descrivercele così bene e in maniera così originale. Lionel Njuguna ha saputo cogliere nei colori e nei movimenti delle donne che popolano il tessuto sociale del Kenya (e non solo), il battito profondo di coloro che ogni giorno generano frammenti di pagine nuove di una storia antica. Njuguna ha fatto sì che ogni africana, di qualsiasi paese, possa ritrovare se stessa in questi diagrammi di vita quotidiana. Sono immagini che sembrano legate da un filo invisibile che tiene unite tutte le donne del continente: da nord a sud, da est a ovest. Sfogliando questo calendario sembra si sentire l’abbraccio caldo di milioni di mani femminili che sorreggono, accarezzano, cullano l’umanità dei popoli d’Africa.
Chi vuole scommettere su un futuro nuovo dell’Africa lo può fare ad una condizione: non senza di loro. Le madri e regine d’Africa. Con immensa gratitudine.