Reportage sui Nuba
di Pietro Veronese_tratto da _La Repubblica
Ancora una volta i Nuba del Sud Kordofan sono rimasti soli. Questo popolo di un milione di persone che racchiude un’incredibile varietà di lingue, costumi, religioni come se fosse un precipitato vivente della storia e delle tradizioni dell’Africa, è di nuovo minacciato di morte. I satelliti rilevano i siti degli eccidi, ma lo sdegno non dura fino all’indomani; le foto dei massacri circolano sul web, eppure non arrivano sulle pagine dei giornali; gli appelli delle vittime non trovano orecchi in ascolto e le rare testimonianze restano confinate alle riviste missionarie. Perfino le denunce dell’iperfascinoso George Clooney, con il suo progetto Satellite Sentinel (www.satsentinel.org), stentano a tener deste le coscienze. È l’indifferenza del mondo, più ancora della guerra mossa con unilaterale ferocia dal governo sudanese, a far temere per la vita dei Nuba.
Le montagne abitate dai Nuba sono uno dei luoghi più remoti dell’Africa. Isole affioranti nel mezzo di uno sterminato deserto, villaggi di paglia e di pietra in un paesaggio di pietra e di paglia, esse sono un monumento alla meraviglia della condizione umana, alla commovente ostinazione della vita nell’ambiente più estremo. Questo isolamento ha a lungo aiutato i Nuba a sopravvivere, al riparo dalle tempeste del mondo. Finché, negli ultimi decenni del XX secolo, le bizzarrie della geopolitica e l’andirivieni degli eserciti li hanno sospinti sul proscenio insanguinato della guerra civile sudanese, nella quale essi hanno duramente combattuto dalla parte del sud, contro il nord. Ma l’esito ultimo di quel conflitto – l’indipendenza del Sud Sudan, proclamata lo scorso 9 luglio – li ha lasciati mortalmente esposti, affacciati sul vuoto di una linea di confine improvvisamente sorta dal nulla, però sul versante sbagliato. Il Sud Kordofan è rimasto dalla parte del nord, tagliato fuori dagli accordi di pace e poi di spartizione. Abbandonato. In balia del governo di Khartoum, assetato di rivalsa per l’onta di aver dovuto subire la secessione di tutto il meridione del Paese.
Per i generali e i politici nordisti, musulmani, arabeggianti, quel popolo di africani neri come l’ebano e serenamente aperti ad ogni credo e influsso religioso, è sempre stato una spina nel fianco. Gente inferiore da assoggettare alla fede, alla lingua, al dominio del nord. Adesso, lasciati indietro dai loro ex alleati della guerra civile, ma pur sempre rimasti vicini a coloro che sono diventati i capi di un nuovo Stato straniero, sono solo traditori da eliminare.
La guerra è esplosa all’improvviso, a freddo, un mese prima che il sud proclamasse ufficialmente l’indipendenza. L’aviazione governativa si è scatenata contro i villaggi dei Nuba, bombardandoli con una violenza di cui non si aveva memoria nemmeno dai tempi della guerra civile. Tra gli operatori umanitari sono presto tornate a circolare parole accantonate: pulizia etnica, genocidio. Il numero delle vittime rimane incalcolato.
Questo attacco unilaterale non si è limitato al Sud Kordofan. Presto ha coinvolto anche la regione del Blue Nile, più a est. Il Blue Nile ha condiviso un destino analogo a quello dei Nuba nella guerra civile; ma è molto meno popoloso ed è abitato da un mosaico di etnie. Dal punto di vista militare è molto più debole. In poco tempo le truppe governative hanno occupato il capoluogo, Kurmuk, un abitato desolato e in rovina poco distante dalla frontiera etiopica. Migliaia di profughi terrorizzati si sono riversati oltrefrontiera.
Anche i Nuba, a decine di migliaia, sono scappati. Si sono diretti a sud, verso lo Stato appena nato, il Sud Sudan, alla cui montagna di problemi si sono dunque aggiunti, fin dal primo suo giorno di vita, i profughi del Sud Kordofan. Accampati in condizioni di totale abbandono, in luoghi che l’arrivo della stagione delle piogge ha reso irraggiungibili se non con ore di marcia nel fango, questi rifugiati sono stati subito guardati con sospetto da tutti. Dai sudsudanesi, i quali sospettano che tra di essi si siano infiltrati agenti del nord. E dai sudanesi del nord, che li considerano alla stregua di un’armata nemica accampata a ridosso del confine. Per questo l’ultimo crimine dei nordisti è stato l’attacco ai campi profughi in territorio sudsudanese. Duplice crimine: in violazione di ogni precetto umanitario e anche della sovranità di uno Stato straniero.
È facile adesso pronosticare che la guerra non si fermerà, bensì continuerà ad allargarsi. Ammaestrati dall’insegnamento di generazioni, i Nuba hanno lasciato le città di pianura e ripreso la strada dei monti, dove è ammesso a raggiungerli soltanto chi gli vuol bene.