ROCK E POLITICA, musica, ribellione, generazione
Quando si parla del rapporto tra rock e politica, si pensa subito alla tendenza di questa cultura musicale, a partire dagli anni sessanta, di farsi veicolo di grandi questioni politiche e sociali, dalla critica radicale al sistema alle lotte per i diritti civili, dal pacifismo alla solidarietà internazionale, dall’ecologismo alla giustizia sociale. Alla base di questo impegno ci furono le commistioni reciproche con il folk di protesta, in particolare al seguito della svolta rock di Dylan intorno alla metà del decennio, occasione di crescita e presa di coscienza per un rock ancora ingenuo e superficiale e di ampliamento del pubblico per un folk che necessitava di portare le proprie ragioni davanti all’opinione pubblica generale. Negli anni settanta, l’energia anarchica del flower power, caratterizzata da una critica radicale ma generica al sistema, venne fatta confluire verso un impegno più circostanziato, dal movimento antinucleare alla solidarietà per il Bangladesh, o diede luogo a delle esperienze musicali fortemente connotate nel senso dell’appartenenza, spesso in una prospettiva dialettica con movimenti politici veri e propri, come avvenuto col Punk e in certi ambienti progressive e cantautorali italiani. L’esperienza del raduno per portare avanti una battaglia sui temi dell’attualità è stata ripresa negli anni ottanta, in particolare col Live Aid e con la mobilitazione per la liberazione di Mandela, anche se la definitiva esplosione del fenomeno televisivo ha reso molto confuso il confine tra l’impegno civile e il marketing.
Ad ogni buon conto, anche il rock’n’roll e il rock delle origini, nonostante il disimpegno nei confronti della protesta sociale, hanno avuto una notevole rilevanza politica, forse, per quanto animati da inconsapevolezza e ingenuità, superiore a quella avuta successivamente. In primo luogo, come irruzione di una cultura di massa giovanile in una scena che fino ad allora aveva tenuto le nuove generazioni in una condizione di assoluta subalternità, il rock’n roll ha condizionato profondamente i rapporti interni alla famiglia e tra i giovani e le istituzioni. Inoltre, per quanto abbia portato avanti rivendicazioni edonistiche e individuali, perlopiù legate a una maggiore libertà di vivere la propria sessualità, il solo fatto che queste rivendicazioni abbiano avuto una così larga condivisione, ha instradato la gioventù verso la presa di coscienza di una propria forza politica. I Beatles si sono mossi verso un’istituzionalizzazione delle rivendicazioni, cedendo qualcosa nella rappresentazione della ribellione, preferendo la via del dialogo con le vecchie generazioni alla rivolta generica e immotivata. Il momento del cambiamento verso l’impegno specifico, a mio parere, è sintetizzato dal verso I hope I die before get old, contenuto in My Generation, incisa dai The Who nel 1965, primo inno generazionale del rock; un testo sostanzialmente nello spirito delle origini, ma, in quanto ufficializzazione di quello spirito, decretava l’avvenuta presa di coscienza e la conseguente fine dell’infanzia del rock.
Chi ha avuto coscienza da subito del potenziale politico dirompente del rock’n roll è stato proprio il potere istituzionale, basti pensare alla censura imposta a Elvis Presley all’Ed Sullivan Show, consistente nel non riprenderlo mai dal bacino in giù. Lo stesso Presley, dieci anni dopo, si farà strumentalizzare dai politici nelle campagne contro l’uso degli supefacenti legato alla cultura rock. Un’attenzione che si è andata amplificando negli anni della contestazione studentesca e pacifista, con diversi musicisti sottoposti al controllo della Cia e degli altri servizi segreti nazionali, anche in Italia, motivato da questione di ordine pubblico o da presunte connivenze ideologiche con ambienti eversivi. In definitiva, il rapporto tra rock e politica va ben oltre l’attivismo e la militanza sviluppatisi dalla seconda metà degli anni sessanta. In quanto fenomeno di massa che, in maniera più o meno consapevole, ha portato avanti le rivendicazioni generazionali dei giovani fino ad allora esclusi dalle decisioni politiche, l’impatto politico del rock è stato dirompente, fin dalle sue origini, diramandosi successivamente non solo nel senso della critica radicale al sistema, ma anche in quello della partecipazione alla politica istituzionale, attraverso l’impegno diretto o le dichiarazioni di endorsement che, ad ogni elezione politica, continuano a provenire da quel che resta della cultura rock.