Se il valore-vita lo stabilisce la denarocrazia
“Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato” è l’ultimo libro del sessantenne filosofo americano che esamina a largo raggio la saturazione dei rapporti umani da parte dell’odierno sistema commerciale. Ne discendono interessanti riflessioni sulle dinamiche e le forme dell’attuale vivere sociale e si afferma l’urgenza di una vera e propria rivoluzione concettuale, che rivendichi una democrazia partecipativa e la necessità di ritrovare di spazi liberi e indipendenti dalla logica dei mercati.
_di Anna Dotti_
Il nostro mondo è pervaso, forse si potrebbe osar dire dominato, dalla logica commerciale, dalla legge della domanda e dell’offerta, dallo spostamento di somme di denaro. Ad esempio lo si può riscontrare facilmente osservando il meccanismo per cui l’attuale crisi finanziaria si trasforma in più casi, laddove è veramente pressante, in una crisi istituzionale. Le istituzioni dovrebbero essere l’ossatura della Stato, che a sua volta dovrebbe trovare senso nel riconoscimento della sua esistenza e del suo dover essere da parte dei cittadini, che difatti lo costituiscono. Questa è la teoria, non la pratica. Ad oggi uno Stato trova la sua ragion d’essere in quella complessa serie di numeri che ne indicano la ricchezza, fondamentalmente materiale, la sua capacità d’essere un solido partner commerciale, il suo grado di solvibilità. Dunque osservato dall’esterno il nostro vivere in società si basa su un fattore puramente quantitativo, che si esprime attraverso il denaro. Ancora più triste e spaventoso è pensare che un tale ragionamento non vale solo per un “macro-organismo”, come può essere un’entità statale o una federazione di stati, ma anche a livello infinitamente inferiore, per la nostra quotidianità. Il filosofo statunitense Michael J. Sandel[1] nel suo ultimo libro Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato[2] descrive la saturazione dei rapporti umani da parte del pensiero commerciale, aprendo ad interessanti riflessioni sull’attuale vivere sociale e presentando l’urgenza di una vera e propria rivoluzione concettuale, che riaffermi l’esistenza di spazi liberi e indipendenti dalla logica dei mercati.
L’elemento più incisivo e spaventoso che Sandel presenta consiste nella commercializzazione del pensiero, ovvero nell’attuale, quasi totale, incapacità di pensare ed agire in termini puramente qualitativi e non quantitativi. Dal momento che il denaro è diventato lo strumento del nostro riflettere, sarà bene per una volta – prima di affrontare tesi e proposte del filosofo americano – fare una riflessione sul denaro stesso. La prima forma di denaro nasce grosso modo quando nasce la scrittura, in Mesopotamia nel quarto millennio avanti Cristo per opera dei Sumeri. Questa popolazione aveva sviluppato per la prima volta un sistema di credito grazie alla creazione di tavolette di terracotta su cui, attraverso la scrittura cuneiforme, erano incisi segni particolari a seconda dell’occorrenza: così nascevano i titoli di debito. Queste tavolette, che in origine dovevano solo sancire il debito di un compratore nei confronti di un venditore, cominciarono poi a circolare come dotate di un valore in sé, conferitogli proprio dal pagherò che rappresentavano. Trasformandosi nel mezzo di pagamento comune, tali tavolette rappresentano la prima forma di denaro della storia. Le attuali banconote[3] non hanno molto in comune con delle tavolette di terracotta, però hanno esattamente la stessa funzione, lo stesso valore e soprattutto la stessa origine: il debito. Ogni banconota sta a rappresentare un debito e un ideale futuro senza debiti sarà un futuro senza banconote[4]. Un ultima riflessione sul denaro, se è vero che questo ha la sua essenza nel debito, non bisogna dimenticare che il debito è concettualmente assimilabile alla colpa. Ad esempio risulta evidente nella lingua tedesca, in cui debito e colpa si esprimono con la stessa parola, Schuld. Perciò nell’attuale incapacità di separare una sfera di valori immateriali e qualitativi, da quella dei beni materiali quantitativi, non si fa altro che assimilare qualsiasi bene ad un sentimento di colpevolezza e di mancanza; Sandel ci mostra quanto profondamente e con quali conseguenze.
Innanzitutto il filosofo fa una breve introduzione storica alla situazione di dominio dei mercati, ripercorrendo gli ultimi trent’anni e riconoscendo l’importanza di alcune scelte politiche, sottolineando il ruolo di Reagan come della Thatcher. Dopodiché porta l’attenzione su come la società contemporanea[5]si stia trasformando da un ambito di vita comunitaria ad un immensa area commerciale, dove tutto, questione di tempo, sarà acquistabile per denaro. Infine mostra come il dominio dei mercati e del pensiero commerciale sia legato alla caduta del senso comunitario e alla povertà del dibattito pubblico. Difatti, come sosteneva Hannah Arendt, la forma più violenta di dominio che ci possa essere è quella contemporanea, che lei definiva come Niemandsherrschaft[6], letteralmente “dominio di nessuno”. Si è dominati da questa forma di potere, quando si ha la sensazione che la propria vita sia in realtà diretta da oscure forze finanziare, inafferrabili ai più, con la mente così come con i sensi, una sorta di entità fantasma, un “nessuno”. Questa è la forma più potente di dominio ad oggi, la più difficilmente scardinabile. Nessuno ha mai vinto contro un nemico invisibile, dal momento che chiunque dotato di ragione non essendo in grado di individuare il suo avversario, rinuncia alla lotta; la povertà del dibattito pubblico e la disillusione politica non è mossa proprio da questo sentimento?
Ad ogni modo una tale presa di posizione potrebbe sembrare eccessiva, ammesso che la società occidentale è una società capitalista, dove il consumo è l’imperativo categorico che guida le coscienze, ci sono anche dei saldi principi da salvaguardare e che ci salvaguardano. Gli Stati moderni nascono da un percorso storico e concettuale di riconoscimento di diritti, di principi inalienabili, come il diritto alla vita e il diritto alla libertà d’espressione. Forse un tempo era così, ma diventa sempre più difficile continuare a sostenerlo. Sandel porta vari esempi per cui la vita non ha più valore in sé, ma lo trova in un determinato costo. Ad esempio, a fronte di una spesa irrisoria rispetto al costo equivalente del servizio in uno stato occidentale, ricche coppie che si trovano nell’impossibilità di avere un figlio, ma con la sufficiente disponibilità economica, possono prendere in affitto il grembo di una ragazza indiana; una tale pratica in India è legale. Quindi la capacità di generare una vita diventa una fonte di reddito per molte ragazze indiane, sane, non istruite, che vivono in una condizione di miseria. A prescindere dal fatto che queste ragazze non sono sufficientemente tutelate, che non si possono ritenere realmente consapevoli dei rischi a cui vanno incontro e che, data la somma che gli viene corrisposta per un tale servizio, sono indubbiamente sfruttate, dopotutto è giusto che la mancanza di scrupoli e il denaro rappresentino l’unica condizione necessaria ad avere un figlio? Sandel ci porta giustamente anche un esempio opposto al precedente: la sterilizzazione per denaro. Un’organizzazione benefica dal nome Project Prevention, nel Nord Carolina, offre alle donne tossicodipendenti 300 dollari in contanti, laddove acconsentano a farsi sterilizzare. L’iniziativa si può ritenere da un certo punto di vista meritoria, dal momento che aiuta a prevenire la nascita di bambini malati, che non possono essere accuditi dai loro genitori biologici. Ma dall’altra parte bisogna chiedersi quanto sia corretto invitare delle donne a rinunciare al controllo del proprio apparato riproduttivo per denaro. La scelta non è di per sé libera perché finalizzata ad ottenere dei soldi, ma anche se lo fosse sarebbe giusto equivalere la rinuncia definitiva alla possibilità di essere madre ad una somma di denaro?
Anche se la connessione può sembrare inopportuna, il discorso sulla vita umana va legato al dibattito sulla tutela dell’ambiente. Se si vuole essere rispettosi nei confronti della vita umana non si può non esserlo anche rispetto all’ambiente in cui questa è inserita, considerando così la vita in tutte le sue forme. Come è noto, uno dei problemi maggiori nell’ambito della tutela ambientale è legato all’emissione di anidride carbonica. A tale proposito negli USA si è stabilito un sistema particolare, per cui ogni azienda che voglia rilasciare anidride carbonica compra il diritto di farlo pagando allo Stato un tot a seconda della quantità che ne vuole emettere. È chiaro che una qualsiasi industria ragiona secondo fini commerciali e in questo modo la si va a colpire utilizzando la sua stessa logica. Dunque si ottiene una riduzione dell’inquinamento, ma solo perché ci saranno aziende che non potranno far fronte ad una tale spesa, per cui comprare la possibilità di inquinare non rappresenterebbe più un guadagno economico. Tuttavia i giganti dell’economia non avranno problemi nel pagare e continueranno tranquillamente la loro produzione, danneggiando allo stesso modo l’ambiente. Se la salvaguardia dell’ambiente è un valore assoluto per il nostro mondo, come si interpreta il fatto che il denaro possa svuotare di senso un’affermazione inconfutabile?
L’elenco di casi simili potrebbe essere ancora molto lungo ed è interessante osservare come ci riguardi da vicino, anche nelle piccole cose, ad esempio nel portare avanti uno stile di vita sano. Negli USA i dipendenti di alcune compagnie sono stimolati a correggere il proprio stile di vita per renderlo più sano, ovvero meno incline a futuri problemi di salute, che rappresenterebbero un danno per la compagnia attraverso i costi delle cure e la perdita dell’attività lavorativa del dipendente. Dunque si ricevono dei premi in denaro se si smette di fumare, se si perde il peso in eccesso, se si seguono le adeguate cure mediche, laddove necessarie. Sebbene sia positivo prendersi cura del proprio corpo e stimolare anche gli altri a farlo, questo non è di certo il modo corretto. Del resto lo dimostra anche un’osservazione più attenta di questi casi, ad esempio i dipendenti che smettono di fumare, ottenendo così un premio in denaro, nel 90% dei casi riprendono a fumare dopo poco tempo, e così via.
Oltre ad avere a che fare con la commercializzazione di beni tutto sommato tangibili, materiali, il meccanismo di commercializzazione sta prendendo piede anche nella sfera dell’assoluto immateriale, dei sentimenti che regolano i rapporti umani. Si può prendere come esempio i servizi offerti dall’azienda cinese Tianjin, il cui motto è “Noi chiediamo scusa per te”. Scusarsi, mostrare dispiacere e rammarico, può essere naturale per alcuni e molto complicato per altri. Se non si vuole correre il rischio che la propria scusa non venga accettata o non abbia l’effetto desiderato, ci si può rivolgere a questi specialisti delle scuse. Chi riceve delle scuse e allo stesso tempo viene a sapere che si tratta di scuse comprate, come reagirà? È chiaro che la scusa perde di senso, non siamo più di fronte all’espressione di un sentimento naturale come il dispiacere, ma alla ripetizione meccanica di un testo scritto da altri; l’azione potrebbe anche essere la stessa, una scusa spontanea potrebbe anche assomigliare ad una scusa comprata e viceversa, ma in ogni caso non ha più alcun significato dal momento che il principio da cui scaturisce è diverso.
Tutti questi casi devono portare, come Sandel auspica, ad un’analisi del comportamento umano, del nostro modo di agire. Un denominatore comune degli esempi esposti si può individuare nello svuotamento di senso delle azioni corrispondenti. Se un’azione, da una parte, si può identificare con le sue conseguenze, dall’altra queste non sono sempre ben definibili o prevedibili, motivo per cui, in realtà, il valore di un’azione risiede nella previsione che ne fa l’agente, nell’intenzione che la anima. Se il dare la vita dovrebbe essere un dono, dovrebbe essere accompagnato dalla gratuità, partorire un bambino per ricevere dei soldi svuota di senso l’atto stesso. Allo stesso modo prendersi cura del proprio corpo, non perché se ne riconosce il valore in sé, ma per essere gratificati attraverso un bonus a fine mese, rende effimera l’azione in sé; come già sottolineato, lo stesso discorso vale per il chiedere scusa. Il leitmotiv che impregna tutta l’argomentazione è rappresentato dal portare alla luce questo effetto commercializzante, che svuota di senso i nostri comportamenti e li modifica. Inoltre Sandel riporta l’opinione interessante di alcuni economisti, per cui tale effetto alle lunghe non gioverebbe neanche alla stessa economia. Tale perdita di senso porterà alla perdita di un naturale stimolo nell’agire, che comporterà un immobilismo sociale, corrispondente a una perdita dei consumi.
Il filosofo porta avanti dunque un concetto di morale pervasiva, non esistono ambiti senza morale, e quindi anche i mercati vanno doverosamente posti di fronte a interrogativi morali; ma è più che altro il discorso inverso ad essere qui significativo. I mercati non devono avere accesso a qualsiasi ambito della vita umana, occorre ridefinire gli spazi, in modo da ritrovare ambiti liberi dall’effetto della commercializzazione, che altrimenti, come visto, non potrebbero più esistere perché non avrebbe più alcun senso. Infine Sandelci mette in guardia dal considerare il funzionamento commerciale come uno strumento adeguato al regolamento di ogni branca della vita. Egli confuta l’abituale concezione per cui i mercati siano liberi e siano animati intrinsecamente da un ideale di giustizia, e lo fa utilizzando un solo semplice argomento. Il Mercato non è libero e non è giusto, perché si basa su presupposti che non hanno nulla a che fare con i valori dell’uguaglianza e della libertà. L’importanza di cui si è investiti secondo la logica di mercato, che si ricopra il ruolo di venditore o di compratore, è conferita dalla massa di beni che si posseggono, che si possono mettere in gioco. L’estensione e la consistenza del proprio patrimonio non è uguale per tutti, non siamo in un mondo ideale dove alla nascita venga assegnata ad ognuno la stessa parte di ricchezza. Questa può anche essere ritenuta frutto dell’impegno personale, delle forze che ciascuno liberamente investe nel accrescere la propria fortuna. Ma anche sotto questo aspetto bisogna riconoscere che il rapporto tra sforzo e risultato è soggetto ad una serie di condizioni spazio temporali che sono totalmente diseguali da individuo a individuo, perciò essenzialmente ingiuste. Quindi questa commercializzazione pervasiva avrà come effetto anche la crescita delle ingiustizie sociali, accompagnata da una sempre maggiore radicalizzazione dei divari di classe.
All’allarmante situazione presentata dal filosofo bisognerebbe dare una risposta ben precisa. Con la volontà di rianimare il sistema democratico, riscoprendo una democrazia più partecipativa che rappresentativa. Con il riconoscimento di una diversa qualità della vita, che preveda dei valori fissi irremovibili, che siano comunemente accettati. Infine e soprattutto con la riabilitazione del concetto di valore, che sia intraducibile a livello quantitativo, ma esprima sempre una realtà e un bene solo qualitativo.
[1] Michael J. Sandel è stato allievo di Charles Taylor ad Oxford ed è attualmente professore presso l’Università di Harvard. Attivo nell’ambito della filosofia morale e politica, è uno dei maggiori esponenti del comunitarismo e principalmente conosciuto per la sua critica alla teoria della giustizia di John Rawls. Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Michael_Sandel
[2] Testo in circolazione in lingua inglese dal 2012 e pubblicato in Italia lo scorso Aprile (2013) da Feltrinelli (trad. di C. Del Bò, pp. 233, € 22,00).
[3] Nell’evoluzione del grado di alienazione del valore reale dal valore fittizio del denaro, interessante notare che ad oggi ne esiste una nuova forma: il Bitcoin, la moneta “virtuale”; così detta per distinguerla da quella comune, in modo surreale identificata come “reale”. Il Bitcoin nasce dalla mente di un programmatore giapponese attraverso la crittografia asimmetrica e vorrebbe fornire una nuova merce di scambio, attestato il fallimento del sistema bancario, e perciò monetario, tradizionale. Fonte: John Naughton, The Guardian
[4] Fonte: Wolfgang Uchatius, Die Zeit
[5] La società a cui Sandel fa riferimento è quella statunitense; di conseguenza alcune considerazioni potrebbero sembrare estranee al mondo europeo e semplicemente così radicali, da non essere realizzabili altrove. In materia sociale ed economica è però altrettante evidente come l’Europa sia trascinata dagli USA, quindi anche in questo caso tutti gli esempi che si affronteranno non sono altro che precursori di ciò che succederà nel vecchio continente; sempre che non ci sia un’inversione di tendenza.
[6] Tale concezione si incontra più volte negli scritti della filosofa, qui ci si riferisce all’esposizione che la Arendt ne dà in Sulla violenza.