Sembrava solo un tramonto_Stefano Galieni
_Un tramonto sulla città gialla capace di riempire di gioia fino alle lacrime gli occhi di Hamid e di Aisha. Il loro era un appuntamento cadenzato dal silenzio. Si incontravano alla stessa ora lungo le mura del palazzo dove l’ombra nascondeva le persone. Camminavano a passi felpati verso lo stesso identico luogo, si fermavano e con pudore si sfioravano le mani, mentre il sole lentamente iniziava a calare. E attendevano l’attimo che avrebbe fatto dimenticare il resto della giornata, la fatica nei campi di Hamid, le umiliazioni subite da Aisha mentre strofinava i pavimenti dell’albergo. La terra e la polvere nel corpo di lui, l’odore acido dei detersivi nelle mani di lei, un tempo così lisce e delicate. Ma c’era stato veramente un tempo prima? Se c’era stato Hamid e Aisha lo avevano chiuso nei cassetti innominabili, del sogno e della nostalgia, di un vociare familiare e allegro improvvisamente interrotto. Ma il momento era giunto. Il falco che giungeva ogni volta da est, volteggiava con ampi cerchi, pronto a gettarsi a capofitto fra l’erba che rompeva l’ocra delle rocce. Il falco che giungeva ogni volta da ovest, spuntava puntualmente da un angolo scuro, da un anfratto perfettamente individuabile dietro la torre e attendeva con pazienza. E accadeva con la stessa assurda puntualità: i due falchi calavano insieme, seguendo la stessa traiettoria, disegnando nel cielo terso una perfetta per poi fermarsi sopra una grande pietra in basso. Chinavano il capo, sbattevano lentamente le ali e dopo attimi che sembravano eterni risalivano ognuno verso la propria direzione. Hamid aveva deciso che il falco dell’ovest si chiamasse Aisha. Aisha era certa che il falco dell’est portasse il nome di Hamid. E accadeva ad ogni tramonto, in estate o in inverno, con la pioggia o col sole e sembrava che la presenza dei rapaci, da sola, fosse sufficiente a rendere quel momento immutabile.
Il falco che giungeva da est, dall’alto, riusciva all’alba a scorgere quel mare in tempesta. Aveva visto quel gommone partire a notte fonda da un porticciolo, aveva udito il vociferare agitato degli uomini e delle donne che si imbarcavano, le urla di uomini dai tratti crudeli e dalla divisa scintillante.
Fra quel mare di corpi, che si avventuravano in quel corpo dalle forme di mare, aveva intravisto due occhi indimenticabili. Uno scialle azzurro sbiadito coprivan un volto giovane e millenario allo stesso tempo, ma quegli occhi imprecanti avevano una potenza più forte delle onde, urlavano una voglia di vivere che tutto sembrava poter sommergere. Il falco che giungeva da ovest, di notte doveva volare ancora più in alto, sfidando l’istinto e la paura. Ma da quel cielo nerissimo squarciato solo dalla pallida luce lunare, aveva visto tutto. Aveva visto le case bruciare, aveva percepito l’odore acre della morte, della paura e della fuga. E poi il deserto e la violenza degli uomini sugli uomini, dei più forti sui più deboli. Aveva visto corpi accasciarsi e lasciati a marcire nella sabbia, ricoperti con poche folate di vento. Il ragazzo aveva capelli nerissimi e una fierezza che neanche le frustate di cui portava cicatrici erano riusciti a piegare. Camminava con ampie falcate, saliva e scendeva dai pick up, agile e leggero, si accontentava di un sorso di acqua e di un tozzo di cibo. Il ragazzo sarebbe arrivato, lo si capiva dall’alto, ed era bello poterlo osservare dall’alto, dove le ali fanno sentire il corpo ancora più leggero. Durante la notte, il falco dell’ovest sognava quel ragazzo, il falco dell’est, si svegliava con il sentore della ragazza.
E alla fine accadde. I due viaggianti alati si incontravano come i due viaggiatori sperduti.
E non sanno se l’incontro era già accaduto, stava avvenendo o un giorno, finalmente sarebbe divenuto realtà, sotto un unico sole che scenderà eterno sulla città gialla.