Strategia duale per carburanti
di Roberto Vacca
Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, il Presidente Roosevelt aspettò un anno prima di razionare la benzina: ritardo inaudito perché le risorse energetiche erano vitali per lo sforzo bellico. Oggi, dopo 7 decenni, i dibattiti sull’energia sono ancora esercizi estremi di epistemologia (arte di formarsi opinioni corrette) in cui esperti e non esperti avanzano proposte inaudite – anche in contesti autorevoli. Nel Novembre 2012 sui Proceedings dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE), il Prof-W.L. Ahlgren, del California Polytechnic State University) pubblica un articolone su “una strategia a due carburanti – piano di transizione energetica”. Lo autodefinisce “un lavoro retorico”: è disordinato e ripetitivo: da ignorare, se non fosse per il prestigio del periodico. I punti essenziali sono riassunti in slides in: conseps.soe.ucsc.edu/sites/default/files/2011-ahlgren.pdf.
La strategia a due carburanti è presentata come necessaria per ovviare all’imminente esaurimento delle riserve di petrolio facile e per evitare l’uso di carburanti fossili che producono CO2 e, quindi, il riscaldamento globale antropico. Queste due minacce sono notoriamente esagerate. Petrolio e gas si estraggono con il fracking dagli scisti bituminosi (shale) in quantità crescenti, tanto che gli USA sarebbero avviati all’indipendenza energetica. Inoltre gas e petrolio sono abbondanti anche su terraferma a profondità grandi, ma non proibitive. Le conferme dai carotaggi del ghiaccio antartico confermano la teoria di Milankovich e contraddicono le predizioni per fine secolo di innalzamenti di 4-7°Cdella temperatura atmosferica. I due carburanti proposti sono: ammoniaca (usata come carburante senza produrre CO2) e alcol metilico (che produce poca CO2 e non è tossico, per cui si può usare come carburante auto). Dato che l’energia necessaria per produrli si può ottenere da fonti rinnovabili [da cui oggi su trae circa il 2% dell’energia totale consumata] o da centrali nucleari, Ahlgren li considera risorse rinnovabili – è un gioco di parole.
La prima obiezione – ovvia – all’uso dell’ammoniaca come carburante è che si tratta di sostanza tossica. La contro-obiezione di Ahlgren: l’uso di NH3 sarà limitato agli impieghi industriali affidati a operatori professionisti e bene addestrati che già oggi ne utilizzano oltre 200 milioni di tonnellate/anno nell’industria (fertilizzanti, esplosivi, farmaci, concia, condizionamento aria). Obietto, allora, che attualmente petrolio e gas forniscono rispettivamente ogni anno 4000 e 3000 MTOE (Milioni di Tonnellate di petrolio equivalenti) – rimpiazzarli con l’ammoniaca farebbe crescere i rischi di 40 volte e imporrebbe modifiche alle infrastrutture perché il potere calorifico dell’ammoniaca è metà di quello della benzina – e i volumi interessati sono il doppio.
L’ipotesi che l’energia per la produzione di ammoniaca si tragga da fonti rinnovabili è, dunque, poco plausibile. Almeno in una prima fase, questo piano di transizione prevede che non si parta dall’idrogeno, ma dal gas naturale. La reazione è : 3 CH4 + 2 N2 + 3 O2 = 4 NH3 + 3 CO2 con produzione di CO2 – proprio il processo che questa strategia di transizione doveva mirare a eliminare. L’anidride carbonica prodotta può essere iniettata ad alta pressione in giacimenti metaniferi o petroliferi in via di esaurimento per estrarre residui. Si potrebbe usare anche insieme a ossidi di calcio e magnesio per produrre carbonati: un processo fattibile, ma non destinatoa grossi sviluppi.
Già nel 1988 Cesare Marchettiaveva proposto un processo più attraente. [“How to Solve the CO2 Problem Without Tears”, IIASA]. L’idea era: costruire nella steppa siberiana centrali nucleari per la riformazione del gas naturale ottenendo idrogeno [aumentando così del 30% il potere calorifico del gas] da immettere in gasdotti e CO2 da usare come sopra detto o da liquefare e, quindi, iniettare nel fondo degli oceani onde evitare che ne cresca troppo il tasso nell’atmosfera. Ahlgren non cita Marchetti e sostiene che “l’idrogeno è squalificato perché è un gas”. Già il metano sarebbe marginale: [sebbene dai metanodotti otteniamo quasi metà della nostra elettricità] e il trasporto via mare sarebbe caro, difficile e pericoloso [falso: le metaniere sono molto più sicure delle petroliere – hanno due scafi con interposta struttura a nido di vespa]. L’idrogeno, più volatile, sarebbe ancor meno competitivo. Anche questa conclusione è debole. D. Abbott – “How a Solar-Hydrogen Economy Could Supply the World Energy Needs”, Proceedings IEEE, Gennaio 2010) propose di produrre idrogeno per elettrolisi a partire da energia solare e utilizzarlo, liquefatto, in motori a combustione interna con vantaggio per la qualità dell’aria urbana. Il problema della sicurezza è risolvibile: nel mondo si producono oltre 50 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno (2/3 usati dall’industria petrolchimica); l’auto BMW Hydrogen7 e il 20% dei bus di Berlino usano idrogeno in motori a combustione interna. I serbatoi di idrogeno liquido sulle auto sembrano essere meno pericolosi dei serbatoi di benzina, che in caso di fuoriuscita e di incendio, si sparge sotto l’auto facendone un rogo. Le fiamme di idrogeno, invece, sono dirette verso l’alto e meno dannose.
(v. foto: a sinistra idrogeno, a destra benzina).
Incendio serbatoio: auto a idrogeno e a benzina – Fonte: University of Miami