Stregato da una sera africana
di Gianluca Sebastiani
Da sempre l’oscurità suggerisce all’immaginazione intrighi, storie di contrabbando, traffici furtivi e silenziosi: e allora si chiama penombra; oppure notti di passione, romantiche carezze che prolungano la cena e possono arrivare fino al mattino seguente: e allora si dice a lume di candela.
A me Riruta di notte ricorda il presepe.
Riruta è un quartiere. In altre parti del mondo poteva aspirare al ruolo di cittadina, forse di capoluogo. Ma con intorno una metropoli come Nairobi, diventa una modesta periferia urbana, un prolungamento informale di cittadinanza, uno sparpagliato esistere di baracche ed edifici in mattoni collegati da sterrato.
Perché nella vita la propria statura si decide anche in relazione a chi ci sta intorno.
La sera le persone tornano a casa. Chi a piedi, chi in autobus, al termine di una lunga giornata. È così in tutto il mondo. Ma è verso il tramonto che Riruta mi appare in tutto il suo fascino, a metà tra penombra a lume di candela. Sarà per le sgangherate bancarelle di verdura che accendono le loro lampade a cherosene; sarà perché ci sono ancora animali che girano liberi e gruppi di caprette che attraversano caotiche la strada, stando attente alle poche motociclette che sopraggiungono a fari spenti; è, perché i piedi che calpestano queste strade impolverate a quest’ora si moltiplicano, e le loro vibrazioni risalgono lungo il mio corpo un attimo prima di comprare un cartone di latte dalla ragazza dell’alimentari; sono i neon quasi scarichi della bottega del barbiere che aspetta anche i più ritardatari, sono le mani di una signora che conta e riconta l’incasso della giornata, sono le chiacchiere dei bambini che hanno finito la scuola, i compiti, e persino i giochi; sono gli equilibristi della bicicletta in questo magma di buche e persone; sono i cani randagi, le marmitte bucate, sono gli ubriachi che hanno perso la verve, le note country che si diffondono dalla radio a pile, è il poliziotto; sono le ricariche del telefono grattate e lasciate cadere a terra, i carboni accesi del braciere su cui viene passata una pannocchia, è il predicatore, lo sfaccendato, il conoscente dal saluto cortese, una donna corpulenta.
È il passo di un quartiere impegnato nello sprint finale; seguirà la rimozione della sera, un pasto caldo, forse un breve black out, fino a sfumare verso il freddo dell’altopiano che sale dalla terra e percorre le strade.
È notte. Attraverso Riruta da un capo all’altro per andare in città e da lì all’aeroporto. Guido con rispetto che merita un’auto presa in prestito, consapevole delle buche.
È allora che mi accorgo che qualcosa è cambiato: che fine ha fatto il presepe?
La Riruta al buio, quella con qualche luce a fare intendere che il quartiere continua anche in quella direzione, ma senza capirne bene limiti e contorni. Con le baracche che emergono nella notte, e lampade ad olio sparse qua e là, come piccole lingue di fuoco.
L’arteria principale del quartiere ora è scandita da enormi lampioni, simili a quelli da stadio.
La strada è piuttosto illuminata, i passanti si vedono in faccia, e le cose sono lì, a portata di mano, senza bisogno di immaginarsele. Inchiodo di colpo. La modernità ha distrutto la poesia anche da queste parti? Mi chiedo.
Come apprezzo quando giro di notte in bicicletta per la mia città. La mia città è abbastanza piccola che se uno non si inventa delle scuse, la può girare tranquillamente in bicicletta. Ci sono notti in cui nel mio quartiere si spengono i lampioni, per intere vie. Si tratta di guasti, che colpiscono le centraline collegate tra loro. e il quartiere resta al buio. E io godo, perché mi sento a Riruta. Perché non mi sembra più tutto chiaro e preconfezionato; perché mi conquisto ogni metro dovendo usare la vista ed anche gli altri sensi.
Ma non capita tanto spesso, dalle mie parti.
Così maledico l’amministrazione comunale di Nairobi, che si è ricordata di questa baraccopoli solo per toglierle il fascino del presepe, ed ora mi sembra di guidare in mezzo a un campo da rugby.
Qualche sera dopo sono in compagnia di alcune ragazze di Anita’s Home. È saltata una lampadina, e sparecchiamo la tavola aiutandoci con torce e qualche candela.
In questi anni le ragazze di Anita mi hanno insegnato così tante cose che ogni tanto mi concedono un ripasso. Parliamo del buio, di qualche storia a base di fantasmi, cimiteri e spiriti del bosco. Sembra il romanticismo scandinavo. Poi una di loro racconta che la settimana precedente è tornata per qualche giorno a fare visita alla nonna, che vive sola in una baraccopoli dall’altra parte della città. Lavora? Sì, lavora. Ma in un quartiere un po’ lontano, come donna delle pulizie. Tornare a casa le prende più di un’ora, e la sera deve fare presto. È pericoloso girare col buio. E non per i fantasmi, che sono belle storie da raccontare e far paura ai bambini. Per i ladri, i ladri veri. Quelli sono capaci di prenderti tutto, e di lasciarti con niente. Ci vorrebbero dei bei lampioni, come quelli che hanno messo a Riruta.
Ah, la magia del presepe allora può far male…?
Prendo attentamente appunti anche questa volta: voler tenere spenti i lampioni a Riruta, perché è più affascinante ed evocativo per le poche volte che mi capita di passarci di notte, non si fa. Per chi ci vive, tutti i giorni, sono una grossa risorsa, un aiuto che li fa camminare sicuri anche la notte, in contesti difficili. Bisogna stare attenti prima di giudicare le cose.
Ma io, penso tra me e me, i lampioni li vorrei levare anche dal mio quartiere. Per far posto a un po’ di mistero.
E creare zone dove è pericoloso camminare la notte, come era a Riruta? No. Bisogna che ne parli con Mary, con Judit, e con le altre ragazze di Anita. Per trovare una soluzione. C’è da coniugare penombra e lume di candela; bisogna che la scoperta ed il fascino innato della natura non vengano schiacciati dall’imposizione della tecnica; al tempo stesso che le persone possano godere delle bellezze incontaminate in tutta tranquillità. Intravedere chi mi viene incontro e lanciarmi con fiducia nella relazione, cercando di non finire tra le mani di un brigante.
Unire libertà e sicurezza, piacere e garanzia, è una sfida a cui ci richiamano i nostri giorni.
Già, bisogna che ne parli con le ragazze di Anita.
So che loro hanno spesso soluzioni intelligenti.