Sud. Ora serve un piano
di Eustachio Antezza_tratto dal mensile Territorio n.3_novembre 2011
La questione meridionale italiana ha dimensioni relative ed assolute eccezionali, se consideriamo, per esempio, che nella stessa condizione di arretratezza si trovano solo 2 milioni dipersone in Francia, contro circa 20 milioni (un terzo) degli abitanti italiani.
Lo squilibrio italiano, nonostante decenni di politiche per lo sviluppo, passa attraverso la manifestazione di un Nord ricco, un Centro benestante e di un Sud sempre più povero. Non è il Nord che ha i problemi (la Lombardia è tra le prime regioni più ricche d Europa), è il Mezzogiorno che ha il 25% in meno di reddito della media europea. E’ quì che lavora ufficialmente meno di un giovane su tre e il tasso di disoccupazione reale sarebbe del 25% (Rapporto Svimez 2011).
E giusto porsi, allora, degli obiettivi, perché la pressoché assenza dal dibattito nazionale delle questioni del Mezzogiorno sta diventando una costante. Non c è, infatti, da parte del governo centrale la considerazione del Mezzogiorno come parte della questione Paese. Non sfugge, tuttavia, che dopo anni di latitanza, l’attenzione posta in sede governativa al Piano nazionale per il Sud sia stato l’unico atto degno di nota. Ciononostante, tale piano è fortemente condizionato dalla scarsa dotazione di risorse disponibili, risultato della “pratica del bancomat” perpetrata negli anni passati a danno delle risorse destinate al Mezzogiorno. Il dibattito presente negli ultimi anni è stato circoscritto da una parte sul versante del Dualismo e dall altra sulla cosiddetta Nuova Politica Economica per il Mezzogiorno, ispirata dalla Commissione europea. Quest ultima si è concretizzata a sua volta più sugli strumenti (negoziazione programmata, incentivazione automatica, sussidi in conto capitale o in conto interessi, ecc.) che sulle dinamiche di sviluppo di un territorio semplicemente in ritardo, che deve essere considerato la riserva per lo sviluppo del Paese: l Italia può crescere solo se cresce il Mezzogiorno.
C’è ormai più di una sensazione che da circa un decennio dal Mezzogiorno le voci si siano intimidite sulla “questione dello sviluppo”, parallelamente all’assenza di un’idea progettuale dell’attuale ciclo comunitario 2007-2013. Le voci risultano impaurite, quanto addirittura rassegnate. In Italia esiste la nuova “questione settentrionale” i cui interpreti sono identificati a pieno titolo, e sempre più, con la stragrande classe dirigente politico, economica e culturale di quel territorio. Questo ceto non è riconducibile esclusivamente ad uno schieramento politico o ad una lobby particolare.
E fondamentale, quindi, il ruolo delle classi dirigenti diffuse del Mezzogiorno. Esiste la necessità che esse si impossessino della loro funzione sociale. Molto spesso si ha la sensazione che manchino idee precise per modernizzare questo pezzo del Paese. Per un lungo periodo le classi dirigenti diffuse hanno svolto un ruolo marginale per il contributo alla definizione dei programmi e per la realizzazione degli stessi. L’ urgenza di uscire dalle secche, per il Mezzogiorno, è forte. Il Sud deve definitivamente considerarsi una macroarea, al netto delle sue variegate specificità che possono essere considerate dei punti di forza, ovviamente. C è urgenza di uscire velocemente dall idea che le risorse pubbliche disponibili siano solo un parametro di spesa. Occorrerebbe lavorare perché le comunità, attraverso modelli di condivisione riconosciuta, scoprano il senso della pianificazione del proprio futuro in una nuova logica di costibenefici. Questa condizione è ancor di più necessaria posto che l’attuale crisi economica inciderà negativamente sulla disponibilità delle risorse del futuro ciclo comunitario. Esiste, quindi, non fosse altro per non continuare a sbagliare, la necessità di analizzare l evoluzione del capitalismo del Mezzogiorno. E’ necessario attivare nel tessuto economico meccanismi che sblocchino le rendite a favore della produzione di valore. Contemporaneamente occorre la necessità di confrontarsi sulla moderna concezione del mondo del lavoro :un mondo dove tutti i soggetti apportino indistintamente la loro individualità.
I nuovi propositi del governo Monti, in particolare del ministro Barca, sono particolarmente concentrati su: scuola, digitale, ferrovie, occupazione. Benissimo, non ci sono più, però, margini di errore per le politiche economiche keynesiane, occorre che esse siano rigorose e tempestive. A questo punto le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno non possono più essere fallaci, caratterizzate fino ad ora, come opportunamente rileva lo Svimez, dall’inadeguatezza delle tempistiche, dalle scarse disponibilità di competenze e di risorse, soprattutto di tipo progettuale, dalla mancata risoluzione di questioni organizzative e di coordinamento. La condizione di territorio sottosviluppato non sarà più un esclusiva del Mezzogiorno d Italia. Nell imminente futuro ci saranno anche altri territori che attrarranno investimenti e sviluppo.
Le aree attrattive di politiche per lo sviluppo saranno in concorrenza tra loro. La presenza di un Mezzogiorno sottosviluppato potrà non costituire necessariamente una condizione di privilegio per investire e veicolare investimenti italiani, pur in presenza di incentivi. L impiego di capitali, anche quelli che tradizionalmente si muovono in una dimensione domestica, potrà interessare scelte non necessariamente all interno dei nostri confini nazionali. Non solo ci sono le condizioni di libera circolazione all interno della UE (per la verità già sperimentate e, per molti casi, convenienti), ci sono anche i paesi del Mediterraneo che esprimeranno una domanda di investimenti in loco. I nuovi modelli di sviluppo nelle aree del Mediterraneo, potrebbero addirittura caratterizzarsi con elementi di innovazione impressionante (esempio nel campoenergetico). Il Mezzogiorno sarebbe quindi un area apolide, senza speranza, senza futuro, schiacciato tra un identità del nord del paese e un area, quella del Mediterraneo, che inizierà a formarsi con un nuovo capitalismo. I moti democratici, di questi ultimi mesi, sono un segnale precursore e inequivocabile del possibile sbocco economico di queste aree contigue al sud della Penisola. Il Mezzogiorno che non ha sviluppato infrastrutture adeguate né un terziario evoluto, rischierebbe di rimanere veramente orfano se non agisse tempestivamente.