Taloi Klaman_Keita Douda
_Racconto finalista quinta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Lucia Loverre
Attiegouakro è un piccolo villaggio tra tante piccole colline. Tantissimo
tempo fa, questo villaggio era amato da tutti gli abitanti della regione per
la sua prosperità, l’ospitalità della sua gente e soprattutto per la bontà del
suo re. La corte reale era aperta a tutti e la sera al re piaceva sedersi circondato
da tutta la sua famiglia attorno ad un gran falò, per ascoltare la
storia dei suoi avi raccontata da Konan, il cantastorie del villaggio.
Il lago del racconto di Konan non seccava mai. Era una sorta di biblioteca
vivente, a causa dell’eternità della storia di quel villaggio. Konan
era davvero stimato dal re, poiché era proprio dalle sue storie che egli
estrapolava le lezioni migliori per condurre il suo popolo. Una sera, Konan
raccontava di come la principessa, figlia del trisavolo del re Attiégoua
sposò Huongbo10, il più grande e il più cattivo pitone della foresta.
A quell’epoca gli uomini vivevano in armonia con gli animali. Il re Attiègoua
I aveva una figlia che si chiamava Taloi Klaman11.
Taloi Klaman era tanto bella, di una così ineguagliabile bellezza che mai
s’era vista prima. Quando camminava, al suo passaggio, tutti restavano
abbagliati dalla luminosità dei suoi occhi, dalle rotondità dei suoi fianchi
e dallo splendore della sua carnagione d’ebano. Ella aveva una zia
che si chiamava Bayefouè12. Zia Bayefouè era stata un pigmalione nella
vita di sua nipote. Ella era temuta da tutto il villaggio a causa dei suoi
poteri magici.
Taloi Klaman aveva raggiunta ormai l’età da marito. Suo padre, il re Attiègoua
I era triste all’idea che sua figlia lo lasciasse per intraprendere
un’altra vita, quella figlia che era stata sin dalla nascita il suo raggio di
sole. Una sera, seduto fra i suoi notabili, espose la sua inquietudine affinché
questi ultimi lo consigliassero.
Ma tutto fu vano, in quanto persino i consigli più saggi non servirono a
tranquillizzarlo, e tuttavia, prima di andarsene, uno dei saggi disse al re:
“Mio re, tranquillizza il tuo animo, perché la notte ti porterà consiglio”.
Questa frase risuonò nella sua testa come una voce magica. “Eh si, caro
N’da, la notte porta consiglio”.
I vecchi al villaggio si servivano sempre di queste parole talvolta sibilline
per comunicare e per trasmettere messaggi che orecchie indiscrete
non devono comprendere. Quando il re e questi consiglieri si incontravano
a corte o sotto l’albero à palabre per discutere di vari problemi, i
più delicati erano rimandati al giorno seguente e lasciandosi utilizzavano
quel proverbio. In verità, negli usi e nelle tradizioni dei villaggi africani,
la donna è inferiore all’uomo; ella è una docile organizzatrice e non
deve che occuparsi degli affari di casa. E pertanto la donna resta il pilastro
della vita familiare, della gestione amministrativa delle nostre comunità.
E’ la donna che convince o dissuade i più grandi uomini. “Ah
sì… la notte porta consiglio…, la donna porta consiglio, poiché la notte
è anch’essa una gran donna”.
Abla la regina, stesa sul giaciglio della casa reale, non dormiva. Aveva
notato che suo marito, il re, da più giorni era molto teso. Abla era una
donna coraggiosa, comprensiva e attenta. Erano sposati da trent’anni, ed
ella lo conosceva profondamente. Era una donna che sapeva serbare i segreti
della famiglia e mantenere delle relazioni fra amici. Ella si ricordava
di tutte le cattiverie che le aveva raccontato Aboua, il miglior amico
di Attiègoua, affinché non si sposassero. Ella amava con tutta l’anima
il suo fidanzato e questo non l’aveva pertanto spinta a dirgli la verità
sul comportamento del suo amico. Ella apprezzava il loro rapporto e sapeva
che l’unione fra gli uomini non è fondata sul reciproco inganno e
che durerebbero poche amicizie se ognuno sapesse ciò che il suo amico
dice di lui. Abla aveva custodito quel segreto, sola, nel suo cuore sin dalla
loro giovane età e fino alla morte di Aboua. Mentre ella ricordava il
suo passato, suo marito scivolò sotto la coperta accanto a lei.
Attiègoua restò silenzioso qualche secondo, poi respirò una boccata d’aria
fresca che entrava dalla finestra della sua stanza e disse:
“Oh Abla! La situazione di nostra figlia mi preoccupa. Tu sai che ella ha
da poco compiuto l’età da marito e non le ho ancora trovato un bravo fidanzato.
Ti ricordi, alla sua età noi eravamo già fidanzati e ti confesso
onestamente che ho paura di fare una scelta sbagliata. Abla, sono molto
confuso”.
“Mio caro marito, ti confesso che anch’io ci penso e tu sai Attiégoua, che
la migliore prova d’amore che tu possa offrire a tua figlia, è di lasciare
a lei la scelta”.
“Ma cosa dici, donna? Ma come? Ma quando? Il tempo passa e non posso
lasciare che mia figlia, la principessa, vada in giro per il mondo, alla
ricerca di un marito!”.
“Non è questo il problema. Voglio solamente suggerirti di diffondere la
notizia in tutto il reame e nelle contrade vicine in modo che la principessa
possa da sola scegliere il suo sposo fra tutti i pretendenti, nel giorno
e nel luogo che più ti converrà”.
“Dimmi Abla, come ti è venuta questa ingegnosa idea! Domani ne informerò
i miei consiglieri. Tu, invece, dovrai parlare con tua figlia e spiegarle
tutto”.
L’indomani a corte alla presenza di tutti i consiglieri, il re prese la parola
e disse: “Miei cari consiglieri, ieri sera vi ponevo il problema del matrimonio
di mia figlia, e senza aver trovato una soluzione, ci siamo lasciati
con la speranza di incontrarci oggi. Ma come voi avete detto, la
notte porta consiglio e ieri ci ho appunto pensato su, tutta la notte”, il re
spiegò quindi nei dettagli quello che gli aveva confidato sua moglie.
Nella grande piazza del villaggio, era giunta una folla di innumerevoli
giovani, ognuno ardentemente animato dalla speranza di essere il preferito.
Nella sua camera, dove stava con sua madre e sua zia, la principessa
confidò qualcosa a proposito dell’uomo ch’ella voleva sposare.
Desiderava un uomo bello, alto, elegante e senza cicatrici. Zia Bayefouè
e sua madre avevano tentato invano di farle capire la ragione
riguardo l’impossibilità di trovare un tale uomo. Ma senza scoraggiarsi,
sua zia decise di aiutarla. Ella le spiegò che si sarebbe trasformata
in una mosca, per poter scrutare tutti i pretendenti e per poter poi trovare
l’affascinante principe.
Per sette giorni, notte e dì, zia Bayefouè esaminò tutti i pretendenti sen-
za alcun risultato. Solo l’ottavo giorno, con un laconico colpo di volo,
ella aveva notato un uomo, bello, elegante, alto e con un sorriso da mozzare
il fiato. Si avvicinò, lo scrutò a fondo, senza scoprire la minima cicatrice.
Ma, non c’era dubbio, era proprio lui, il più grosso e il più cattivo
della savana: Huongbo.
Fu soltanto dopo che si seppe che la principessa voleva un uomo senza
cicatrici, che Huongbo decise di giocarle un brutto scherzo conducendola
nella sua tana per divorarla un pomeriggio. La zia Bayefouè corse
ad informare il re e la regina del pericolo che stava correndo la loro figlia.
Insieme, entrarono nella stanza della principessa per informarla.
Ma appena sua zia finì di parlare, ella si precipitò subito per vedere l’uomo
che era dietro. Ella aveva il fiato mozzato, la voce strozzata dall’emozione
di vedere un uomo così bello. “E’ lui, è lui che aspettavo”. Con
un sorriso sulle labbra ella chiese a suo padre di sigillare la loro unione.
Ella aveva rifiutato di ascoltare i consigli dei suoi genitori, lasciandosi
trasportare dalla sua caparbietà. Eppure sapeva bene che era un errore
non tener conto dei loro consigli e farsi così beffe di loro.
I festeggiamenti del matrimonio furono grandiosi e Huongbo, dopo tre
giorni, decise di rincasare con la sua sposa. Zia Bayefouè, ancora una
volta, per volontà del re e della regina, seguì gli sposi sotto le sembianze
di una mosca.
Dopo dodici ore di cammino, arrivarono all’accampamento di Huongbo
subito dopo aver attraversato un fiume con una zattera. I primi tre giorni
trascorsero senza alcun impiccio, poi il quarto giorno, Huongbo domandò
alla sua sposa di portagli il pranzo lì dove si sarebbe recato per
la pesca, ma una volta arrivata, doveva chiamarlo a cinquanta metri voltata
di spalle.
Quando ella ebbe finito di preparare e si accingeva a partire, zia Bayefouè
le apparve all’improvviso, provocandole un così forte spavento
ch’ella si mise ad urlare con tutte le sue forze. “Suvvia non gridare, adesso
andremo insieme a portagli il cibo e spero che potremmo avvicinarci
a lui per vedere cosa fa realmente nel fiume. Non discutere e andiamo,
e poi vedrai!”.
Appena arrivate, per Taloi Klaman fu una terribile sorpresa scoprire lo
sbalorditivo e spaventoso spettacolo che le si presentava. Huongbo-pi-
tone si era lanciato in una selvaggia caccia ai pesci. Non si era accorto
della presenza delle due insolite visitatrici. Taloi Klaman si sentì quasi
svenire, la gran paura le tolse il respiro e non poté fare a meno di gridare
ad alta voce il nome del suo sposo. Stupefatto e disilluso, anche
Huongbo si trasformò più in fretta che poté, ma era già troppo tardi. Furioso
per esser stato riconosciuto, si trasformò nuovamente in pitone e
cominciò a seguirle. Zia Bayefouè e Taloi Klaman se la diedero a gambe.
Poco dopo, eccole giungere a riva, ma come per magia, la zattera per
la traversata non era più là. Che fare? Zia Bayefouè fece ancora una volta
ricorso ai suoi poteri magici e cominciò a cantare:
Nan ta ho bada (Re del cielo e grande uccello marino)
Bada la kono ni kangaradjan (io ti invoco)
Sa lé gouho sa djougou (possa tu venire in mio aiuto)
Gouho bada (perché da un pitone sono seguita).
Appena ebbe terminato il suo canto, un grande uccello dalle ali d’albatro
le venne incontro per attraversare il fiume. Huongbo non era più
così lontano e fu così il turno di Taloi Klaman, di intonare il canto magico.
Con voce tremante di paura, ella intonò il canto. Il grande uccello
apparve e mentre s’accingeva a prendere Taloi Klaman, la zia
Bayefoué ricominciò a cantare. Ella esortò l’uccello a non rispondere
all’appello fattogli dalla principessa. L’uccello quindi si rifiutò e scomparve.
La principessa scoppiò in lacrime e si mise a gridare con tutte
le sue forze. Huongbo non era più lontano e subito si apprestò ad abbattersi
sulla sua sposa. Mentre egli si piegava su se stesso per scagliare
il colpo fatale, zia Bayefoué cantò ancora un’altra volta, per domandare
all’uccello di prendere sua nipote. Un po’ troppo tardi forse
perché l’uccello apparisse in tempo. Huongbo si scagliò allora con la
testa a forma di pugno e proprio nel bel mezzo del momento in cui si
preparava a colpire, il grande uccello comparve dal nulla e sollevò Taloi
Klaman. Huongbo si trasformò ben presto in un giovane uomo ed
intonò anch’egli lo stesso canto.
L’uccello riapparve, sollevò il giovane uomo e durante la traversata
sul fiume, zia Bayefoué si rimise a cantare:
Abla ho bada (lascialo cadere, o grande uccello)
Bada la kono mi kangaradjan (in questo fiume, egli è un grosso)
Sa lé gouho sa djougou (e cattivo pitone che ci insegue).
A queste parole, il grande uccello lasciò cadere Huongbo che piombò sulle
rocce del fiume e scomparve trascinato dalla corrente dell’acqua.
Qualche giorno dopo il ritorno al villaggio, zia Bayefoué disse a sua nipote:
“Taloi Klaman, impara che quando un bambino vuol giocare col
fuoco, non glielo si impedisce mai, poiché solo dopo essersi scottato saprà
che è pericoloso; e sappi anche che il rispetto per i genitori è sacro e
che rifiutare i consigli dei vecchi significa esporsi ai pericoli della vita”.