Tesori utopici e tesori reali.
_di Roberto Vacca
Tom Beale era un omone bruno – un Virginiano. Andò a caccia di bisonti in Colorado con amici. Scoprirono giacimenti d’oro e d’argento e ci lavorarono per anni. Nel 1821 avevano riempito d’oro e argento alcune cassette di ferro e le sotterrarono in una caverna poco distante da Bufors in Virginia. Nel 1822 Beale passò di nuovo brevemente per Bufors. Stava nell’albergo di un certo Robert Norris. Partendo, lasciò a Norris una busta dicendogli:
“Se non mi rivedi entro due anni, aprila, perché non tornerò più.”
Non riapparve. Norris aprì la busta 20 anni dopo. C’era una nota che suggeriva di decodificare altri tre fogli – coperti da sequenze di numeri di poche cifre. Il primo doveva contenere la descrizione di un tesoro, il secondo l’itinerario per arrivare alla caverna e il terzo i nomi dei proprietari. Nel 1885 un certo J. B. Ward ebbe quei fogli dalla vedova di Norris.
Il primo foglio conteneva numeri d’ordine della parole nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. Le lettere iniziali delle parole indicate, messe in fila formavano un testo: il tesoro era di una tonnellata d’oro e due d’argento. Si entusiasmò. La chiave funzionava: la storia era vera. Però non decrittò gli altri due fogli. Rinunciò e, invece, pubblicò un libretto in cui raccontava la storia.
Secondo alcuni crittografi la struttura degli altri 2 documenti è casuale: niente da interpretare. Ci hanno lavorato in tanti senza successo. Somigliavano ai giocatori d’azzardo compulsivi. Rischiano grosse puntate mirando a vincite enormi molto, molto improbabili. Continuano a giocare – sicuri di vincere grosso. Non credono davvero di influenzare con la mente la traiettoria della pallina nella roulette, ma si comportano come se avessero quel potere. Continuano a perdere.
È curioso che si comportino in modo simile anche tecnologi e scienziati competenti. Il loro prototipo è il programmatore compulsivo. È bravo a inventare e scrivere programmi di computer con cui risolve problemi matematici, logici, di progetto. Dato che hanno funzionato, crede di poter scrivere programmi di simulazione tanto avanzati da permettergli di prevedere l’avvenire. Questa abilità – unita alle prestazioni di un computer universale – dovrebbe permettergli di risolvere i più complessi problemi scientifici ed economici. Altri programmatori confidano che sapranno spiegare il funzionamento del cervello umano – in linee generali e anche per quanto riguarda singoli individui o gruppi. Perfino scienziati di primo piano cadono in simili credenze illusorie.
Un esempio è quello di Ray Kurzweil. Ha inventato la Optical Character Recognition (funzione con cui una stampante traduce pagine stampate in testi digitali trasmissibili per internet e modificabili in vari font e dimensioni); ha inventato Mathematica: una procedura con cui risolvere problemi algebrici, geometrici, di calcolo infinitesimale, statistici, logici, etc.); detiene centinaia di brevetti; è ingegnere capo di Google.
Però pretende di aver previsto l’avvento di una Singolarità. Sarebbe un nuovo, ultimo passo avanti della scienza dei computer che porterebbe entro pochi anni a creare macchine più intelligenti di un uomo e poi più intelligenti di migliaia di uomini che rivoluzionerebbero scienza, tecnica, economia, società e viaggerebbero per l’universo diffondendo il loro verbo. Questa non è scienza, ma fede compulsiva mal riposta.
Kurzweil avrebbe anche inventato un nuovo tipo di scienza. Costruisce automi cellulari che tracciano sequenze di pixel neri e bianchi su di una griglia infinita. Le curve ottenute rappresenterebbero un’infinità di formule con cui modellare ogni possibile fenomeno. Ho criticato questo sistema nel mio libro Anche Tu Fisico.
Abbiamo già strutture informatiche che costituiscono ricchezze potenziali enormi, ma le cui funzioni, note ed usate da molti, non sono state ancora comprese, né sfruttate appieno.
Da migliaia di anni riceviamo aiuto e ispirazione da parole scritte nei libri. Oggi è possibile avere aiuti e supporto simile – ma più pronto, interattivo, efficace – da computer parlanti che ci dicono o ci scrivono parole di altre persone, registrano le nostre e ce le ricordano; le commentano in base a semplici analisi sintattiche; ritrovano percorsi passati e ne suggeriscono di nuovi. Non c’è bisogno che queste macchine siano intelligenti. Basterà che siano progettate con buon senso. Non ci insegneranno a stare al mondo. Però ci potranno aiutare a vedere verità non ancora immaginate. Ci potranno permettere di capire di più, essere più equilibrati, più umani.