Thomas Jefferson (1743-1826), Presidente orologiaio
di Roberto Vacca
Thomas Jefferson, il terzo Presidente [1801-1809] degli Stati Uniti – avvocato, letterato, architetto, scienziato – aveva la passione di pendole e orologi. Nei 5 anni che passò a Parigi come ministro plenipotenziario, ne comprò molti di notevole pregio. Il 17 Febbraio 1784 annotò nel suo libro dei conti:
“Pagato 240 franchi per una pendola,”
Regalò molti orologi in segno di stima ad amici e familiari. Quando i suoi nipoti compivano 12 anni, ricevevano dal nonno un orologio d’oro e i servizi di un servitore personale. Si trattava di uno schiavo, che la giovane persona doveva addestrare. Nel suo testamento Jefferson dispose che queste disposizioni venissero osservate per tutti i suoi discendenti. Jefferson stesso usava un orologio da tasca d’argento.
Nel 1817 comprò dall’orologiaio svizzero di Charlotteville Louis Leschot un orologio d’oro da signora. Era un modello a cilindro orizzontale, che aveva il solo difetto di necessitare una lubrificazione frequente. In una sua lettera Jefferson espresse sfiducia verso gli orologiai di Richmond, “veri assassini degli orologi”.
Per l’atrio della sua grande villa di Monticello in Virginia progettò nel 1773 un’importante pendola – the Great Clock – che fu costruita da Peter Spruck nel 1784 e che funziona ancora oggi. Due pesi sferici da 8 kg ciascuno forniscono energia allo strumento. Hanno una corsa (settimanale) tanto lunga che, dopo essere scesi fino al pavimento passano attraverso un foro e continuano la discesa fino al pavimento della cantina. La pendola ha un quadrante che segna giorni, ore, minuti e secondi. Un secondo quadrante esterno aveva una sola lancetta che indicava solo le ore, ma era tanto grande da permettere agevolmente la lettura dei minuti. Ogni ora veniva battuta da un gong sul tetto della villa. Il suono si sentiva bene in tutta la tenuta. In base ad esso veniva controllato il lavoro programmato per gli schiavi.
Jefferson aveva duecento schiavi: malgrado le sue convinzioni libertarie [fu il principale autore della Dichiarazione di Indipendenza del 1776], non ne affrancò nessuno. Però nel suo testamento dispose che fossero resi liberi due dei 7 figli che aveva avuto da Sally Hemings (1773-1835), sua schiava mulatta e sorellastra di sua moglie, Martha Wayles.
Oltre a progettare pendole, Jefferson inventò uno strumento crittografico efficientissimo per le sue comunicazioni segrete. Era un cilindro fatto di 36 rotelle coassiali, sul taglio di ciascuna delle quali erano scritte le 26 lettere dell’alfabeto in sequenze casuali disordinate. Il mittente compone il messaggio di 36 caratteri facendo rotare i 36 elementi. Poi trasmette una qualunque delle 25 sequenze di lettere non significative. Il destinatario la imposta sul suo identico cilindro. Trova subito la sequenza del messaggio: l’unica sensata.
Jefferson conosceva bene, latino, greco, francese. Aveva vissuto in Italia, leggeva nell’originale sia le opere di Machiavelli, sia l’Architettura del Palladio cui si ispirò per progettare la villa di Monticello [già Little Mountain, da lui ribattezzata] e anche gli immobili dell’Università della Virginia, da lui fondata nel 1818. Jefferson previde che l’Università avesse un’ampia biblioteca, ma non una chiesa, né una cappella, né che la religione fosse fra le materie insegnate, che erano: architettura, astronomia, filosofia, botanica, scienze politiche, Nel 1836 furono aggiunte ingegneria e scienze applicate,
Jefferson si dichiarava epicureo, cristiano, materialista, credente nell’immortalità dell’anima. Avversava il clero e ne chiamava i ministri: negromanti, saltimbanchi, ciarlatani e farisei. Considerava Paolo di Tarso il primo corruttore del cristianesimo – corifeo di una banda di imbroglioni e di sempliciotti.
Jefferson condusse vita dispendiosa. Nei suoi ultimi anni aveva accumulato debiti per 200.000 dollari. Chiese il permesso al governo di organizzare una lotteria con le sue proprietà come premio. Intendeva pagare i suoi debiti coi proventi dei biglietti. Un gruppo di suoi sostenitori si scandalizzò e organizzò una sottoscrizione per pagare i debiti dell’ex-presidente. Alla sua morte nel 1826, però, era stato versato solo un quarto della somma necessaria e i suoi beni furono venduti all’asta.