Un popolo intrappolato tra due guerre
_La guerra civile in Sudan, iniziata nel 1983 e ufficialmente terminata nel 2005 con la firma della pace a Nairobi, ha causato due milioni di morti e due milioni di rifugiati. L’accordo di pace prevedeva elezioni democratiche e un censimento in tutto il paese, un referendum nel Sud per decidere se restare uniti o secedere, consultazioni popolari per il diritto all’autodeterminazione in due regioni che avevano combattuto a fianco del Sud, ma che erano state escluse dal referendum (il Kordofan Meridionale, meglio conosciuto come Monti Nuba e il Nilo Azzurro Meridionale) e una commissione per indagare le violazioni dei diritti umani da parte del governo.
Capitoli separati del voluminoso – e in diversi punti poco chiaro – trattato di pace, riguardavano l’integrazione dei due eserciti, lo status giuridico dei circa 700 mila sud sudanese residenti al Nord, la distribuzione delle entrate petrolifere e la definizione del confine, che passa proprio sopra i giacimenti petroliferi. Gli anni trascorsi tra la firma della pace e la proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan (9 luglio 2011) non sono stati sufficienti a definire nessuna delle questioni chiave, in particolare il confine, lasciando così aperta la possibilità di un ritorno alla guerra.
In questo contesto si inseriscono i Nuba, un milione di persone residenti sui Monti Nuba e un altro milione dispersi in Sudan, Sud Sudan e paesi vicini. Durante la guerra civile i Nuba hanno combattuto al fianco del Sud Sudanesi – per affinità etniche, storiche e culturali, e anche, bisogna pur dirlo, per essere stati vittime della schiavitù praticata per secoli dai loro vicini del Nord – ma al tavolo dei negoziati non avevano ottenuto di poter esercitare la scelta e decidere se rimanere al Nord o integrarsi col Sud. La loro regione è quindi rimasta in Sudan e adesso confina con il nuovo stato indipendente del Sud Sudan. Sono così intrappolati in due guerre, quella non dichiarata fra i due stati sudanesi per il controllo dei giacimenti petroliferi, e quella che il governo di Khartoum ha scatenato contro di loro.
Sui Monti Nuba il conflitto armato è infatti riesploso nel giugno 2011, poco dopo le elezioni per il governatore, che opponevano il leader Nuba Abdel Aziz ad Ahmed Haroun, dello stesso partito del presidente Omar al-Bashir, come lui già incriminato e ricercato dalla Corte Criminale internazionale dell’Aia per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Darfur. Quando al-Bashir ha dichiarato vincitore Haroun, e per prevenire ogni protesta ha iniziato una feroce repressione, i Nuba sono riorganizzati nel Sudan People Liberation Movement-North (SPLM-N) e si sono alleati con i movimenti del Darfur e del Nilo Azzurro Meridionale nel Sudan Revolutionary Front, con lo scopo dichiarato di rovesciare il governo di Khartoum per installare un regime secolare e democratico.
Le posizioni sono polarizzate. Abdel Aziz e i Nuba non vogliono cedere e dichiarano: “ashir ha una superiorità militare aerea. Ma a terra noi siamo molto più forti e siamo pronti a marciare su Khartoum”. Dall’altro canto il fondamentalismo islamico promosso sa al-Bashir e la sua chiusura ad ogni dialogi da quando ha preso il potere nel 1989, fanno pensare che un cambiamento pacifico attraverso negoziati sia quanto meno improbabile.