Un Premio letterario in Israele.
_di Asher Salah_
Buona settimana a tutti. Ringrazio di questo invito. Vorrei fare due premesse, la prima riguarda un ringraziamento a Energheia per il doppio impegno, non solo letterario, ma anche civile. Il fatto che oggi si premino degli scrittori libanesi e israeliani che, di solito, non possono comunicare in quanto sono in una situazione di conflitto e qui, invece, si incontrano, è un grande messaggio di pace. Ovviamente nel Premio d’Israele ci sono stati molti ebrei, ma anche arabi israeliani, che hanno scritto nelle proprie lingue, ebraico e arabo, inglese e anche in italiano. Vorrei soffermarmi sulle difficoltà che avevamo nell’organizzare un premio multiculturale all’interno di questa realtà. Noi speriamo che in una prossima edizione si possa avere una sezione palestinese, affinché anche la loro parola venga ascoltata.
In ebraico non esiste una parola che traduce la voce letteratura, ma si usa la parola che deriva dal LIBRO ed è il verbo raccontare, che pone l’accento sulla parola orale della comunicazione e non su quella scritta, littera. Quindi una narrazione, un raccontare ad altri e credo che la vincitrice rappresenti questo, ponendo l’importanza dell’oralità nella sua scrittura.
Il termine Arte viene dalla parola partigiano, ovvero amen, che si usa nella dottrina della chiesa cattolica durante e al termine di ogni funzione, per confermare la benedizione. Ecco il vero artista è colui che si fa ricettacolo di fede, che si immedesima in ciò che scrive. Ciò che ha fatto Merav è un atto di fede. Racconta la storia di una suora cattolica che si innamora di un pastorello arabo. È questo farsi altro è alla base della narrazione e della vera fede.