Una brutta storia
Amani – 1 Dicembre 2009 – di Renato Kizito Sesana
È venuto il momento di informare i miei amici su ciò che mi sta succedendo a Nairobi dallo scorso ottobre. Cercherò di essere obiettivo e concreto, anche se i fatti che riporto mi hanno toccato in modo drammatico.
All’inizio dello scorso ottobre ho ricevuto una e.mail anonima, con vaghe minacce e allegata una foto che intendeva rappresentare me nudo, insieme a un giovane adulto – impossibile dire se fosse un uomo o una donna. La foto era chiaramente ritoccata. Non diedi molta importanza alla cosa. Nelle settimane seguenti ricevetti altri quattro messaggi, e un’altra foto. L’ultima fu verso la metà di novembre. Poi venni in Italia con il Koinonia Children Team.
Rientrai dall’Italia la settimana prima di Natale, e incominciai a organizzarmi per una lunga assenza, che avevo programmato almeno nel 2005. Il 10 gennaio al mattino prestissimo partii in auto con tre confratelli per Musona, in Tanzania, dove intendevo restare studiando Kiswahili, rilassandomi fino al 10 maggio. Questa vacanza era un sogno coltivato da tempo. Avevo fatto le ultime vere vacanze in Italia – come regola dovremmo riposare tre mesi ogni tre anni – nel 1998.
Poco tempo dopo il mio arrivo a Musona, cominciai a ricevere inquietanti notizie da Nairobi. Nei vari progetti il personale veniva licenziato e altre persone venivano assunte dal Country Director (che era anche un trustee o fiduciario), senza informare né l’Executive Commitee, né me, contrariamente alla prassi. Cominciai a capire che qualcosa era seriamente sbagliato. Poi due dei quattro trustee di Koinonia vennero a visitarmi a Musona, informandomi che c’era a Nairobi una diffusa campagna contro di me, con l’accusa di essere omosessuale praticante, e che sarebbe stato pericoloso per me rientrare in Kenya. Non potevo credere a ciò che sentivo, ma dissi che avrei seguito il loro consiglio. Volevo confrontare queste accuse e decisi di rientrare a Nairobi, durante la settimana dal 6 al 14 marzo. Come scrissi della mia determinazione di rientrare a Nairobi, altri messaggi dai due trustee insistettero che sarebbe stato pericoloso, poiché la polizia keniana aveva iniziato ad indagarmi. Nonostante questo, decisi di andare a Nairobi, in autobus, e ci arrivai la sera del 6. Il mattino del 7 venni prontamente informato dai due trustee che era pericolosissimo per me restarci, perché la polizia keniana mi stava cercando e presto avrebbero spiccato un mandato di cattura. I miei dubbi crescevano, ma decisi di seguire il loro consiglio e il giorno 8 ritornai a Musona. Pochi giorni dopo, due poliziotti keniani, genuini o falsi, ancora non lo so, andarono a visitare il mio Padre Provinciale a Nairobi, gli fecero vedere sullo schermo di un telefonino alcune delle ormai famose foto, e gli chiesero dove fossi.
Lo stesso giorno i due soliti trustee arrivarono a Musona e mi dissero che ormai ero in pericolo di arresto immediato. Presto, questione di ore, sarebbe stato impossibile per me rientrare in Kenya e probabilmente il mio nome sarebbe stato comunicato alla polizia dell’Uganda e della Tanzania, perché mi arrestassero. Non avevo altra scelta, insistevano, che tornassi subito in Europa. Non ero per niente convinto, ma ancora pensavo fossero affidabili. Così a metà marzo ero in Italia, poi andai per quasi tutto il mese di aprile a Lusaka. Da Lusaka scrissi che sarei rientrato presto a Nairobi. E ancora una volta, un’altra foto venne fatta circolare da un indirizzo e-mail anonimo, questa volta anche con copia a diversi benefattori di Koinonia. E questa volta l’accusa era di pedofilia.
Il disegno era ormai chiaro: ogni volta che manifestavo la mia determinazione a rientrare a Nairobi, coloro che manovravano questo gioco alzavano la posta, nella speranza che io avrei avuto paura a rientrare, così che loro potessero, senza informare l’Executive Commitee di Koinonia, prendere il controllo dell’associazione e delle proprietà.
Poi Gian Marco Elia, presidente di Amani, la nostra organizzazione sorella in Italia, venne a Nairobi agli inizi di maggio e gli eventi precipitarono. I trustee, inizialmente finsero di cooperare con gli sforzi del Koinonia Executive Commitee di proteggere la registrazione e la costruzione di Koinonia, ma creavano ostacoli e raccontavano che padre Kizito non sarebbe mai più rientrato a Nairobi e che da adesso erano loro i responsabili di Koinonia. Avviarono trattative per affittare la Shalom House a un’università privata, senza informare l’Executive Commitee, cosa completamente illegale perché i trustee non sono i proprietari dell’associazione, ma ne sono i custodi, coloro che si assicurano che la costituzione sia rispettata.
Il 23 maggio l’Executive Commiteee votò per la sostituzione di tre dei quattro trustee, nominando persone di assoluta fiducia, lasciando solo me dei vecchi, appena in tempo per evitare che i due effettuassero un completo takeover di Koinonia e della proprietà. Gian Marco rientrò in Italia. Ma i due continuarono ad insistere che loro erano ancora in carica, e agli inizi di giugno diedero istruzione verbale ai responsabili dei vari centri per bambini, di mandare via tutti, perché Amani e la La Goccia non avevano mandato i fondi. Dove rimandare i bambini? Dalle loro famiglie (che non esistono) o in strada. Di fatto i fondi mancavano, ma a loro non poteva interessare, meno dei bambini, volevano i soldi e la proprietà.
Quando ho saputo dell’imminente chiusura, ho deciso di rientrare a Nairobi: il futuro dei 250 bambini, che sono nelle nostre case, dei 100 che sono nella scuola secondaria e delle altre centinaia che aiutiamo a crescere in modi diversi, era in pericolo. Gian Marco e padre Venanzio Milani, un eminente Missionario Comboniano e mio vecchio amico, insistettero per accompagnarmi, per la mia protezione. A questo punto era chiaro che avevamo contro persone estremamente pericolose.
Arrivando a Nairobi, il mattino del 15 giugno, ho scoperto che non c’era nessun mandato di cattura contro di me. Ho subito avuto un incontro con l’Executive Commitee di Koinonia, e sono andato alla Polizia a denunciare la mia versione dei fatti.
La stessa sera una televisione locale ha trasmesso un servizio molto poco professionale, in cui mi si accusava di aver sodomizzato bambini keniani negli ultimi vent’anni. Immediatamente ho cominciato anche a ricevere informazioni confidenziali che alcuni ragazzi erano stati pagati, minacciai o addirittura torturati per convincerli a testimoniare falsamente contro di me.
Il mattino successivo ho avuto un breve incontro con un gruppo di giornalisti, smentendo categoricamente le accuse. Ma durante i dieci giorni successivi è stato il massacro, su di me. Quasi ogni sera c’erano notizie nel telegiornale. Per tenere la pressione alta, i due ex-trustee non hanno avuto altra scelta che farsi intervistare, rilanciando accuse a me. Tutte false. Mi sembrava di essere un bersaglio incapace di reagire, perché l’avvocato mi aveva consigliato di stare in silenzio. Disprezzo e ridicolo. I giorni peggiori della mia vita. Solo la fede, la personale certezza di non aver commesso nessun crimine nei confronti dei bambini, il supporto degli amici locali e italiani, specialmente di Amani e dalla Tavola della Pace. E da tanti altri che mi hanno conosciuto e che hanno visitato le case a Nairobi, mi hanno impedito di mantenermi fiducioso e continuare a lottare.
L’obiettivo reale di tutta questa saga, penso, era di impadronirsi delle proprietà che Koinonia ha lentamente acquisito negli anni, con l’aiuto di Amani e di altre organizzazioni e benefattori. E chi ha manovrato sapeva che avrebbero potuto ingannare l’Executive Commitee, solo se io fossi stato lontano. Non avevo mai considerato le nostre proprietà dal punto di vista del loro valore monetario, perché abbiamo costruito tutto per il beneficio diretto e indiretto dei bambini che soni in nostra cura, ma da una rapida ricognizione, il valore commerciale delle proprietà di Koinonia può essere intorno ai tre o quattro milioni di euro.
Potete immaginare il dolore e l’angoscia di essere accusati di un simile crimine, da gente che conosco da 20 anni, da quando sono usciti dal seminario, e che ho aiutato a studiare, andare all’Università e costruirsi una professionalità. Avevano la mia più completa fiducia. Uno di loro, come me, poteva firmare da solo i nostri conti in banca. Non sono stato capace di aiutarli a costruirsi un carattere onesto, e di controllare la loro avidità di cose materiali, ed evidentemente hanno capito che le accuse di crimini sessuali sono sufficienti per instillare paure e distruggere la figura di un prete che lavora con i giovani.
Comunque, lentamente, la verità sta venendo a galla. Il Children Department (che ha la funzione di proteggere l’infanzia) e la Polizia hanno confermato che in tutti questi anni non c’è mai stata nemmeno una denuncia contro di me. I counselors, mandati dal Children Department in tutte le nostre case, non hanno trovato neppure un singolo caso in cui il nostro personale, per non parlare di me, sia stato coinvolto in abusi sessuali sui bambini. Al contrario, ogni giorno che passa, scopriamo evidenza di comportamenti fraudolenti, da parte degli ex-trustee.
Con l’Executive Commitee stiamo, adesso, valutando i danni e facendo ripartire tutte le attività che si erano quasi fermate. Alcuni membri del nostro staff, erano demoralizzati e confusi dal comportamento dei due ex-trustee.
La lotta non è finita. Stiamo cercando di prevenire altre azioni che potrebbero danneggiarci. Ma adesso siamo anche pronti a reagire con azioni appropriate.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto, i miei confratelli che mi sono stati molto vicini, i preti locali, i laici italiani e keniani. Abbiamo più che mai bisogno del vostro sostegno morale e materiale. Personalmente non ho mai sperimentato con tanta evidenza, la forza delle vostre preghiere. Continuate a pregare e a sostenerci, i nostri bambini non devono soffrire le conseguenze di questa brutta storia.