Una vita di una pagina, Daria Cornea
Racconto vincitore del Premio Energheia Sorbona 2023
Traduzione a cura di Katia Basile
Hugo parlava di Parigi, Maupassant della Normandia e Balzac di Tours. Scorgevo i loro paesaggi attraverso il loro inchiostro.
Il tempo di una pagina, ero altrove, non ero né madre né sposa, non ero né rumena né ungherese.
Potevo essere parigina o normanna, una donna fatale e indipendente, raffinata ed elegante, e in un solo istante, quando il punto chiudeva la pagina, ritornavo alla mia vita. La mia vita di donna.
Era sempre straziante ritornare là dove la mia gioventù si consumava a vista d’occhio. Là dove la mia pelle dissimulava le mie ossa graziosamente e dove dimoravano ormai dei chili di troppo che le comari del paese si rallegravano di far notare.
Ogni giorno che trascorreva, dimenticavo chi ero, dimenticavo com’ero. Ero là, persa in questo paese che avrebbe visto la mia nascita e quella che avrei donato qualche anno più tardi, là dove ho avuto il mio primo dispiacere d’amore e là dove ho accettato il matrimonio.
Ero là a chiedermi se questo odore di campo, di animali, di erba secca, di latte di vacca e di allevamento avrebbe definitivamente avuto la meglio sull’odore del mio corpo.
Dov’è lei?
Ho imparato ad accettare che non avrei avuto altre gioie salvo quelle che fingo, che per quanto cambi il paesaggio, mi arricchisca e soprattutto abbia la possibilità di poter respirare piena di crema anti-età sul viso, il mio unico rimedio è l’orologio. Ho visto, sentito, toccato, vissuto. Ho letto, imparato, scritto, poi dimenticato. Ho danzato, cantato, pianto a dirotto e ho messo al mondo, dal mio essere, un altro.
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Mamma? Mamma!
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Mamma è morta.