L'angolo dello scrittore

Vecchi, ore di sonno ed orologi

– di Roberto  Vacca

 

Tanti anni fa mi avevano detto che da vecchi si dorme di meno. Ne ebbi conferma quando ero ventenne: facevo spesso discorsi interessanti con mio padre (quasi ottantenne)  a notte fonda. Lui non  aveva mai sonno e non guardava quasi mai il suo orologio. Durante il giorno io avevo guardato spesso il mio. Studiavo, facevo traduzioni, calcoli e progetti; così controllavo la mia produttività.  Più tardi nella mia vita professionale sapevo sempre che ora fosse. Controllavo l’andamento del lavoro mio e, da dirigente, quello di molte altre persone.

Ora a 91 anni, non dormo meno: mi ero aspettato di avere a disposizione molte ore di più al giorno. La prospettiva non mi dispiaceva dato che continuo a lavorare. Invece devo evitare di perdere tempo: le ore disponibili non sono cresciute. Così continuo a controllare  i miei tempi. Scrivo parecchio e, se ho già chiaro in testa quel che voglio dire, so che riesco a comporre circa una pagina all’ora.  Non metto sveglie, ma controllo spesso l’orologio al polso, anche se, in genere, non faccio che confermare la mia stima mentale del tempo trascorso. Ho sorprese solo quando di notte scrivo programmi di computer. Accade vhr io decida di dedicarmi a questo lavoro fino a mezzanotte, Poi mi concentro, scrivo istruzioni ed elimino errori e bachi. Quando mi pare di essere a buon punto, mi dico che potrei anche smettere. L’orologio mi dice che sono le 3:30 del mattino.

Ogni tanto sbagliamo, dunque, i tempi trascorsi o quelli che progettiamo per attività future. Anche in questi casi, il nostro cervello – se è sano – esegue misure precise e fa scattare meccanismi importanti anche mentre dormiamo.

Per i tre quarti del tempo, il sonno è profondo, i nostri occhi non si muovono. Non sogniamo. Dal nostro elettroencefalogramma spariscono le onde alfa (a frequenza da 7 a 12 cicli  al secondo) e appaiono quelle theta a frequenza più bassa. Più tardi il sonno è leggero per circa un quarto del tempo in cui dormiamo. Si chiama sonno REM (Rapid Eye Movement), i nostri occhi si muovono molto. Sogniamo. L’elettroencefalogramma mostra onde di piccola ampiezza e alta frequenza. I nostri muscoli sono quasi paralizzati. Pare che in questa fase le nostre memorie divengano più permanenti.

Questi meccanismi cerebrali  sono noti dalla metà del secolo scorso. Negli ultimi decenni i neurologi hanno approfondito enormemente le conoscenze  delle funzioni e delle loro localizzazioni  cerebrali. Ho provato a leggere i loro lavori, ma ho imparato poco più che alcuni nomi. Per capire bene quello che hanno scoperto, dovrei prima studiare per qualche anno.

Ho appreso dell’esistenza del nucleo preottico ventrolaterale dell’ipotalamo anteriore, una struttura costituita da parecchie migliaia di neuroni. Questi sono molto attivi durante il sonno REM e sono preposti alla regolazione del sonno e della veglia. Le disfunzioni di questo nucleo possono produrre insonnia grave e disturbi psicologici e anche distorcere la percezione del tempo. Chi abbia problemi gravi di questo tipo non può certo pensare  a curarsi da solo, ispirandosi a lavori scientifici incomprensibili ai profani. Per risolverli è bene rivolgersi a un neurologo esperto, Come individuarlo? Attenti ai passaparola! Sia i profani, sia alcuni medici generici si entusiasmano di certi specialisti non per la loro competenza accertata, ma per la simpatia che ispirano e per la loro eloquenza. Sono dilemmi seri e non ci sono soluzioni facili. Io tendo a rivolgermi a esperti che lavorano in grandi policlinici e in università famose.

La percezione errata del tempo può condurre all’insonnia, e questa può favorire la depressione. È una condizione triste e grave viene scatenata da eventi avversi anche di scarso peso e – insieme – da componenti fisiche. Mi dicono che in certi casi semplici si curi con il litio. In casi complessi si ricorre a medicamenti insieme a psicoterapie. I depressi hanno spesso paura di cose non pericolose e, invece, non temono pericoli veri. Pare che si ottengano buoni risultati  con terapie  cognitive che insegnino a percepire correttamente la realtà, insieme a sperimentazione di comportamenti positivi.

Sono  vantaggiose le terapie occupazionali: prendere abitudini di compiere azioni costruttive ed edificanti. Questi automatismi evitano di scivolare verso risentimenti, odii e avversioni ingiustificate.

Siamo pronti ad accettare che alcune cose ci andranno male [alcune altre bene, però], che certe persone siano ingiuste verso di noi, che nostri diritti siano conculcati anche solo per distrazione, non per cattiveria. Pensiamo alle grandi tragedie che in passato come oggi colpiscono il mondo. Allora le nostre tragedie ci appaiono  modeste – e non ci perdiamo più il sonno.