I brevissimi 2019. Verde, ti voglio verde, Ivana Librici_Genova
Anno 2019 (I colori dell’iride – Verde)
Verde, que te quiero, verde
F. García Lorca
Affacciato al parapetto, Fernando vede il suo volto specchiato nell’acqua. Le increspature della superficie dividono la sua immagine in linee ondulate. La sua faccia sembra ancora più spaventata immersa nel verde del muschio.
Ansima e riprende fiato mentre contempla quell’altro se stesso. Quello che giace sul riflesso dell’acqua è il suo io già perduto, il suo io ancora innocente. Si è tolto la camicia per tamponare la ferita sul fianco: se la preme con forza fa meno male. Sente la carne viva che pulsa. Il panno è ormai zuppo, ma non osa separarlo dal suo corpo, come se ne facesse parte. L’immagine specchiata nella pozza d’acqua stagnante trema, a ricordargli che quel volto innocuo non è più il suo e che deve andarsene.
Fuggire. Ma dove? Oltre la radura c’è lo steccato. Dall’altro lato c’è il campo nomadi, là in mezzo, da qualche parte, la roulotte di Gloria. Trecento metri circa di distanza. Trecento battiti del suo cuore. Ad ogni passo un pezzo di vita in meno. Ad ogni battito uno spicchio di luna in più che si aggiunge nel cielo nero. Sente in bocca un sapore di fiele mentre il sangue cola copioso a terra. Tante goccioline amaranto puntellano le sue orme come sassolini che indicano la via. Lo sforzo, per superare lo steccato, è sovrumano. Gli ultimi passi, infine, tra le roulotte, non è nemmeno lui a compierli, ma una forza residua, quella che resiste aggrappata al fondo di ognuno di noi.
Si accascia al suolo, i ciuffi d’erba attutiscono il tonfo. La terra lo accoglie come un estremo grembo.
– Amico, aiutami, ti prego – Fernando parla alla sagoma nera che intravede. La figura si avvicina e poi lo avvolge. Con la testa appoggiata al suo braccio, vede la roulotte di Gloria sullo sfondo. Ma l’uomo non dice niente.
– Ho preso una coltellata. Chiama un’ambulanza.
– Mi dispiace, non posso. Sei in un campo rom e tu sei un gadže. Finirei nei guai.
L’uomo adagia la testa di Fernando su di sé, nell’incavo tra il petto e la spalla. Da quella posizione riesce a scorgerne il volto. Anche il suo viso è spaventato e innocente, come quello che ha visto riflesso nella pozza.
– Voglio morire nel mio letto, allora.
– Se potessi, ragazzo, ti ci porterei, ma neanche la mia casa è mia.
Le parole dell’uomo, il suo corpo, le roulotte e il sangue si alternano al buio dell’incoscienza. Pochi sprazzi di voci e volti arrivano a Fernando, come lampi nell’oscurità.
Quando riapre gli occhi vede la luce artificiale di una lampadina. Penzola dal soffitto di lamiera attaccata al suo filo. Conosce quel posto, c’è già stato altre volte su quello stesso letto dov’è ora. Le volte in cui ha fatto l’amore con Gloria. Le sue braccia sono abbandonate lungo i fianchi ed è sparita la camicia che tamponava la ferita. Non osa toccarla e prova a tirarsi su per guardare ma una fitta di dolore, netta come la coltellata che gli ha aperto la carne, lo paralizza.
– Stai fermo! – la voce è quella di un uomo che gli si avvicina. Il suo volto gli si rivela come una fotografia dal negativo: è sulla quarantina, ha i baffi e una camicia lisa aperta sul petto, da cui spunta una catena d’oro. Lo riconosce, è l’uomo che lo ha soccorso prima.
– Ti ho medicato. Ma devi stare tranquillo – gli dice.
– Gloria! Questa è la sua roulotte! Dov’è Gloria?
– Stai zitto! Non parlare!
– Dov’è Gloria? Ti prego, dimmelo – ripete Fernando.
– Gloria… – sussurra l’uomo. Fernando vede il suo sguardo tremulo, le pupille spostarsi indecise e mettere a fuoco ora uno dei suoi occhi ora l’altro. Ne riconosce il colore. Ha gli stessi occhi verdi di Gloria.
– Vieni, tirati su. Appoggiati a me – gli dice l’uomo – Gloria è qui.
Fernando vede la ragazza sdraiata su una brandina, al lato opposto della roulotte. Si muove appena, agonizzante. Alcuni spasmi di dolore la scuotono a tratti. Si avvicina, Fernando, nella speranza di incontrare il suo sguardo, di affondare ancora una volta in quegli specchi verdi.
Ma Gloria ha già gli occhi chiusi.