Virginie o la luminosa fatina, Marie-Amelie Huard de Jorna
Menzione Premio Energheia Francia 2023
Traduzione a cura di Antonella Dartizio
Questa storia non avresti mai potuto scoprirla.
Ho incominciato a scriverla, presa da quello che racchiudeva in sé e credimi, tu che indossi l’abito del lettore, un’altra storia in quel momento aveva intenzione di farsi strada sulla carta. I capricci della scrittura hanno fatto sì che quella che leggerai ha rischiato di finire in un cassetto.
Una fatina, tuttavia, mi ha ricordato che bisognava «terminarla».
Dall’alto delle sue piccole ali della ragione, questa fatina spinge con il piede gli ostacoli per ricordarmi che questa storia ha bisogno di esistere. Che merita di trovare qua il suo posto.
Mentre mi perdo in alcune domande: «e se non la scrivessi, cosa resterebbe di questa storia? Esiste un paradiso delle storie dimenticate?», la fatina accelera il suo giro intorno a me per farmi capire di porre fine alle mie domande e di lasciar correre le mie dita sulla tastiera. Un soffio di aria piacevole e rassicurante mi accarezza allora il viso. La sua danza respinge ogni esitazione ed io mi sento pronta a continuare.
La fatina sta volteggiando intorno al mio schermo che crea una miriade di scintille di impazienza. Nel momento di leggermi, tu lettore, non la vedi, il mio testo è scritto ed è volata via da tempo verso altri testi. Puoi comunque immaginarla. Porta un vestito che somiglia ai petali di tessuto fine riflettente la luce del sole, che lasciano filtrare le foglie degli alberi sotto i quali mi sono sistemata per scrivere. Si direbbe un vestitino preso in prestito dai ragni che tessono le loro tele nelle erbe e che ricevono le goccioline di rugiada la mattina. Forse conosci questa delicatezza che offre la natura, che si affianca ai servizi di una tessitrice con otto zampette.
Mi sono sistemata sotto questi alberi molto frondosi che mi riparano dal calore per raccontarti questa storia, lontano dal cemento e dal metallo presenti nelle nostre città che racchiudono per troppo calore il sogno di una fata portatrice di ragione. Qui, sotto questi alberi, con i piedi nell’erba sensibile al solletico, mi allontano dal baccano per lasciarti sentire il canto che le fatine producono alle nostre orecchie. Mentre scrivo, lei mi ricorda l’importanza della poesia nelle nostre vite e la fortuna che si ha di poterne offrire a ciascuno.
Sembra tuttavia impaziente e mi chiede di raccontarle senza più aspettare la storia che voglio scrivere. Le parlo dunque di Virginie. La fatina mi guarda, attenta. Sembra rimbalzare su minuscole nuvole rese visibili dai suoi piccoli salti che esegue con grazia. Dopo aver raccontato la storia, continua a sua volta con una voce simile al tintinnio di cristallo: «il rumore dell’auto accartocciata è spaventoso.» È anche la mia sensazione. Quando Virginie mi ha raccontato questa storia, il rumore dell’auto accartocciata è rimasto a lungo l’eco del suo passato che ha condiviso con me. La fatina trema nel vento ma alla fine della storia si illumina di nuovo e mi lancia dei «dai, scrivi ora!».
Ecco la storia di Virginie:
Dopo, avevano detto a Virginie che il conduttore, che arrivava dritto su di loro, non guardava la strada. Che guardava lo schermo del suo telefono. Guidava veloce e la sua attenzione, catturata dai messaggi che leggeva, non aveva potuto evitare loro il peggio. Virginie aveva perso molto quel giorno.
Un anno dopo. I visitatori gironzolavano davanti alle tele della Grande Galerie del Louvre, sfoderando sorrisi e buon umore in quella bella giornata primaverile. Virginie si era seduta su una panchina di velluto rosso diventato il suo posto abituale negli ultimi mesi.
La sua panchina accolse in quella tarda mattinata, lei e i suoi pensieri, difronte al “Portrait d’un vieillard et d’un jeune garçon”. Quel quadro le aveva permesso di incontrare Karl in occasione degli studi di storia dell’arte che avevano intrapreso tutti e due. Veniva da Bavière per un anno di studi. D’allora non si erano più lasciati. Nella Grande Galerie la folla brulicava intorno a lei e invadeva sia i luoghi che il poco spazio di vita che le restava. Si sarebbe creduto uno stormo di api in un campo di fiori da bottinare. Nonostante il rumore ambientale, quelle api lo rinchiudevano in un silenzio che lei non seppe descrivere come pesante o liberatore. I profumi si accumulavano e le facevano girare la testa.
Si risiedette e concentrò di nuovo le sue idee sul quadro che le stava difronte. Il rosso l’ossessionava. Pertanto, la sua concentrazione si scompose di nuovo e mentre la gente si agitava, i suoi ricordi ripresero forma e si insediò il vuoto. Non sentiva più i passi dei visitatori, non sentiva più i sussurri di meraviglia che riempivano la sala. Solo il rumore dell’incidente d’auto. Il calore del sangue emerse anche nei suoi ricordi, come l’incomprensione. In quella galleria del Louvre, il presente si esprimeva sempre mentre lei scivolava in un passato impossibile da modificare. Avrebbe dato tutto per spostarne alcune virgole. Che poteva farci oggi? Semplicemente conviverci? Come se bastasse girare una pagina e scriverne un’altra?
Quel giorno soleggiato, dal dolce calore della stagione e cullato dall’innocenza turistica che lo circondava, doveva darle la risposta che aspettava. Che fare della sua vita ormai? Le lunghe notti che passava da quel momento non le avrebbero dato più tregua. Aveva scelto allora quel giorno, un giorno come un altro, per venire a contemplare un’ultima volta questo quadro.
Rimase così un po’ di tempo, pensando a Karl, uscito vivo dall’incidente, salvato in extremis ma la cui memoria aveva allontanato la sua anima e i suoi ricordi. Aveva perso il ricordo di una vita a Parigi, quella di un amore con Virginie. Sfuggì così allo choc della perdita del loro nascituro che aveva trovato la morte in quell’incidente di macchine. Le terapie fatte a Karl non erano servite a niente, non la riconosceva più. I genitori di Karl erano andati a trovarlo per richiamargli il ricordo della sua casa d’infanzia. Il tempo passò, le notizie diradarono con le speranze.
Più il sole illuminava la galleria più i pensieri di Virginie diventavano oscuri. Il nero l’invadeva. Si alzò, sentendo arrivare il momento. Bisognava finirla. Aveva immaginato numerose possibilità.
Un soffio fresco accompagnò i suoi passi, trascinandola verso la porta dell’ala ovest. Strinse le sue braccia intorno al pullover bianco che sapeva riscaldarla in tempo normale. Si affrettò a salutare il guardiano che non riconobbe – un sostituto probabilmente – quando sentì un profumo che individuò immediatamente. Virginie si girò subito. Era possibile? La folla era troppo numerosa vicino all’entrata, la gente si incrociava, si toccava, si schivava. Lei non vide nessuno in particolare. Ma quel profumo… il ricordo di Karl spazzò via tutto. Guardò di nuovo il guardiano che le sorrise e la contemplava con occhio attento e brillante. Indicò con il dito il quadro che aveva appena lasciato e mormorò delle parole impercettibili. Non capiva ma quel profumo la persuase che qualcosa era appena accaduta. Ritornò sui suoi passi, divise la folla correndo, spingendo qua e là alcuni gruppi di visitatori e scorse i suoi capelli. Riconobbe le sue spalle, il suo modo di sedersi e di piegare la testa davanti ad un’opera. Ad alcuni metri appena, a portata di voce, Virginie pronunciò a mezza bocca il nome di Karl e il tempo si fermò quando l’uomo si girò.
La fatina pensa che il mio testo è terminato. Mi chiede ugualmente: «Che cosa pensi che il lettore ricorderà di questa storia?». Io le rispondo che mi piacerebbe ricordasse che la speranza è permessa e può prendere molte forme, che resti ottimista, che non dimentichi di conservare la sua anima di bambino in mezzo ai tumulti della vita. Che sia frizzante quanto te, fatina dalle ali di luce.
Prima che vada ad illuminare le ispirazioni di altri narratori, le chiedo il suo nome. Mi risponde ridendo che la chiamano Bagliore e ride più bella. Io sorrido. È il mio modo per ringraziarla.
Chiudo la pagina del mio testo mentre lei rimbalza verso nuove storie, con la sua graziosa risata risuonante tra le foglie e i ricordi.
Se una furtiva e inattesa luce passa davanti a te lettore è una fatina che sta vicino a te. Si appresta a parlarti.