Woody Guthrie e dintorni
L’America del primo Novecento. Una chitarra. Una vita vissuta e raccontata dalla parte della strada e della gente comune. Ovvero, Woody Guthrie, padre del folk statunitense, maestro di Dylan e Springsteen.
Nell’arte come nella vita, i maestri sono decisivi. Non è un caso che gli artisti più apprezzati, alle domande sul loro ruolo di miti ispiratori, rispondono che ne hanno avuti, di grandi, a loro volta. La musica popolare poi, coi propri generi e sottogeneri, i plagi e gli omaggi, è anche una fitta rete di citazioni e re-invenzioni di ciò che è stato fatto prima. Per questo diventa complesso, ma anche interessante, scoprire le ideali parentele tra i musicisti.
Quante prospettive, quanti linguaggi ha sperimentato Guthrie per raccontare la sua America. Quella della strada, della sopravvivenza, quella che dopo pochi decenni avrebbe raccontato la generazione Beat.
Da qualsiasi punto si inizi a conoscere la figura di Woody Guthrie, il materiale è tanto e denso. La sua vita si intreccia con la storia americana della prima metà del Novecento. Ma sono le opere lasciate a colpire per la quantità e per la diversità dei linguaggi. Oltre alle tante canzoni, Woody Guthrie lascia l’autobiografia “Bound for Glory“, da cui l’omonimo film e “Born to Win” (“Nato per vincere”), una raccolta di poesie, disegni e scritti vari, “Woody Sez“, raccolta di articoli scritti per la rivista “People’s world“, il romanzo “Seeds of man” e il testo di Maurizio Bettelli “Le canzoni di Woody Guthrie”, edito da Feltrinelli.
Nato nel 1912 ad Okemah, Oklahoma, Guthrie vive un’infanzia travagliata: il crack finanziario del padre petroliere, l’incendio della casa, la morte del padre e della sorella e il ricovero della madre. Trovandosi presto solo, Woody viaggia per gli Stati Uniti, adattandosi a qualsiasi lavoro. È un periodo questo che segnerà la sua vita e soprattutto la sua musica. Impara infatti a suonare l’armonica, la chitarra e il mandolino e inizia a scrivere le sue canzoni: ritratti della vita della gente, dei lavoratori, le loro lotte, gli scioperi, la fatica quotidiana per la sopravvivenza.
Gli anni trenta, a New York, sono il periodo della maturità umana e artistica. Guthrie continua a scrivere canzoni, diventando ben presto un punto di riferimento per il folk americano. Dopo l’esperienza con gli Almanac Singers, intraprende una carriera da solista, collaborando con altri musicisti come Pete Seeger, Cisco Houston e bluesmen come Leadbelly e Sonny Terry. Dopo la guerra, riprende a incidere i propri pezzi, ma le sue idee politiche a favore della sinistra e del sindacato lo porteranno a essere inserito inserito nelle liste nere della “caccia alle streghe” del Maccartismo. Nel 1956 entra in ospedale per una grave malattia, che lo porterà alla morte nel 1967.
Maurizio Bettelli sottolinea “La creatività multiforme di Guthrie: canzoni, disegni e scritti vari. Un lascito più che mai vivo e attuale, trasversale ai generi, ai ruoli e alle prospettive di pensiero, aperto a nuove letture e interpretazioni“.